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Politica e management

Le considerazioni fatte sulla Fiat dal nostro Presidente del Consiglio non avevano certo l'aria di battute. «Azzeriamo, piuttosto il marchio "Fiat"», ha detto. Ma il problema può essere risolto così?

di Stefano Ciorani

A giudicare dal tono, le considerazioni fatte ieri sulla Fiat dal nostro Presidente del Consiglio non avevano certo l'aria di battute buttate lì con nonchalance. «Azzeriamo, piuttosto il marchio "Fiat"», ha detto il Presidente, «ma non quello Ferrari o Alfa Romeo. Ho sentito viaggiare nel management l'idea di vendere Alfa Lancia e Ferrari in un accordo con aziende straniere. Pazzesco. Uno ha dei marchi come Lancia e Ferrari e li vende? Eliminiamo piuttosto il nome Fiat, facciamo un restyling anche superficiale delle utilitarie e rilanciamole sul mercato internazionale con marchio Ferrari. Sarebbe un successone.»

Sollecitato poi da Bruno Vespa su quale nome dare alla Stilo, il Presidente ha poi aggiunto: «Ma no, tolga Stilo: chiamamola "Ferrari Woman", o "Young Ferrari".»
Può darsi che a Roma il persistente ponentino, che si incunea intrigante tra le vetusta vestigia, possa tirare brutti scherzi anche al più navigato tra gli imprenditori brianzoli, ma il disturbo arrecato al Presidente non ha di converso dato alcun sollievo alle migliaia di ferraristi che, sparsi ai quattro angoli del mondo, custodiscono a mo' di reliquia il loro più amato oggetto del desiderio: la Rossa. E l'idea di vedere il marchio del cavallino rampante sulla mascherina di una Cinquecento avrà fatto sobbalzare nella tomba anche l'Ingegner Ferrari, che a queste macchine ha dedicato tutta una vita.

Il Presidente ha - forse - per un attimo dimenticato quello che con brutto termine vengono in marketing definite le variabili e che orientano le imprese a soddisfare un particolare gruppo di consumatori: istruzione, ceto sociale, stile di vita, reddito e tante altre ancora. L'autovettura - quindi - per essere posizionata in un certo segmento di mercato, deve differenziarsi dalle offerte concorrenti in modo da avere una propria identità presso la domanda. Se poi proviamo a collocare i due marchi su una mappa di posizionamento scopriremmo, come è facilmente intuibile, che Fiat e Ferrari stanno agli antipodi.
Di questo sembrano già convinti i sindacati che, con molto pragmatismo, hanno avuto reazioni alquanto sfumate alle affermazioni di Berlusconi. «Noi avremmo bisogno di salvare l'industria dell'auto che abbiamo, non è certo questione di marchio», ha detto il Segretario della UIL Luigi Angeletti. E, «se riuscissimo a portare a casa soltanto questa partita, che di per sé non è affatto semplice, sarebbe già un grande successo». Angeletti ha poi aggiunto che la forza della Fiat è storicamente concentrata nella produzione di auto economiche ed è sbagliato pensare di salvare il settore facendo ricorso a cambi improvvisi di marcia e di marca.

Se errore c'è stato nel passato non è certo quello della mancata sovrapposizione del marchio Ferrari a quello Fiat, ma semmai la mai abbastanza accentuata identità dei marchi Alfa e Lancia. I vecchi alfisti si consideravano tali anche perché le autovetture erano una volta tutte a trazione posteriore, e i lancisti erano (sempre ahimè una volta) fieri dell'eleganza e della accuratezza delle rifiniture. Ma col senno di poi... Barbey d'Aurevilly definiva infatti l'esperienza un frutto tardivo; il solo frutto che maturi senza diventare dolce. Speriamo, invece, che i problemi siano ancora tutti superabili e che il Gruppo Fiat ritorni a dare, come nel passato, tanti frutti dolci e maturi. 

(4 dicembre 2002)

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