A
giudicare dal tono, le considerazioni fatte ieri sulla Fiat dal
nostro Presidente del Consiglio non avevano certo l'aria di battute
buttate lì con nonchalance. «Azzeriamo,
piuttosto il marchio "Fiat"», ha detto il Presidente, «ma non quello Ferrari o Alfa Romeo. Ho sentito viaggiare nel management l'idea di
vendere Alfa Lancia e Ferrari in un accordo con aziende straniere.
Pazzesco. Uno ha dei marchi come Lancia e Ferrari e li vende?
Eliminiamo piuttosto il nome Fiat, facciamo un restyling anche
superficiale delle utilitarie e rilanciamole sul mercato
internazionale con marchio Ferrari. Sarebbe un successone.»
Sollecitato poi da Bruno Vespa su quale nome dare alla
Stilo, il
Presidente ha poi aggiunto: «Ma no, tolga Stilo: chiamamola "Ferrari
Woman", o "Young Ferrari".»
Può darsi che a Roma il persistente ponentino, che si incunea
intrigante tra le vetusta vestigia, possa tirare brutti scherzi
anche al più navigato tra gli imprenditori brianzoli, ma il disturbo
arrecato al Presidente non ha di converso dato alcun sollievo alle
migliaia di ferraristi che, sparsi ai quattro angoli del mondo,
custodiscono a mo' di reliquia il loro più amato oggetto del
desiderio: la Rossa. E l'idea di vedere il marchio del cavallino
rampante sulla mascherina di una Cinquecento avrà fatto sobbalzare
nella tomba anche l'Ingegner Ferrari, che a queste macchine ha
dedicato tutta una vita.
Il Presidente ha - forse - per un attimo dimenticato quello che con
brutto termine vengono in marketing definite le variabili e che
orientano le imprese a soddisfare un particolare gruppo di
consumatori: istruzione, ceto sociale, stile di vita, reddito e
tante altre ancora. L'autovettura - quindi - per essere posizionata
in un certo segmento di mercato, deve differenziarsi dalle offerte
concorrenti in modo da avere una propria identità presso la domanda.
Se poi proviamo a collocare i due marchi su una mappa di
posizionamento scopriremmo, come è facilmente intuibile, che Fiat e Ferrari stanno agli antipodi.
Di questo sembrano già convinti i sindacati che, con molto
pragmatismo, hanno avuto reazioni alquanto sfumate alle affermazioni
di Berlusconi. «Noi avremmo bisogno di salvare l'industria dell'auto
che abbiamo, non è certo questione di marchio», ha detto il
Segretario della UIL Luigi Angeletti. E, «se riuscissimo a portare a
casa soltanto questa partita, che di per sé non è affatto semplice,
sarebbe già un
grande successo». Angeletti ha poi aggiunto che la forza della Fiat
è storicamente concentrata nella produzione di auto economiche ed è
sbagliato pensare di salvare il settore facendo ricorso a cambi
improvvisi di marcia e di marca. Se errore c'è stato nel passato non è certo quello della mancata
sovrapposizione del marchio Ferrari a quello Fiat, ma semmai la mai
abbastanza accentuata identità dei marchi Alfa e Lancia. I vecchi
alfisti si consideravano tali anche perché le autovetture erano una
volta tutte a trazione posteriore, e i lancisti erano (sempre ahimè
una volta) fieri dell'eleganza e della accuratezza delle rifiniture.
Ma col senno di poi... Barbey d'Aurevilly definiva infatti
l'esperienza un frutto tardivo; il solo frutto che maturi senza
diventare dolce. Speriamo, invece, che i problemi siano ancora tutti
superabili e che il Gruppo Fiat ritorni a dare, come nel passato,
tanti frutti dolci e maturi. (4 dicembre 2002) |