Un asino vedeva tutti i santi giorni un cagnolino che faceva moine
al suo padrone, e si toglieva la fame alla sua tavola, e la servitù
gli era anche più generosa. Allora sembra che l'asino si dicesse:
«Se a quell'animale lercissimo il mio padrone vuole tanto bene,
nonché l'intera servitù, chissà a me, se gli faccio qualche
complimento. Eh, io sono sempre meglio di un cane: io gli servo. E
in molte cose. Io a sacre fonti mi nutro, cibo puro mi viene
offerto. Ho tutte le risorse per una vita più alta; per il maggiore
dei riconoscimenti.» Così l'asino aveva meditato, quando scorse il
padrone che entrava. Gli andò incontro di buon passo, gli balzò
addosso schiamazzando, gli si levò davanti, piazzò le zampe
anteriori sulle spalle del signore suo, lo leccò, lo lisciò, gli
macchiò il vestito, lo sopraffece, il signore, con tutto il suo
peso. Alle grida del padrone la servitù intera si mise in
agitazione, diede mano a bastoni e pietre e misero l'asino fuori
combattimento, poi con le costole rotte e le membra ammaccate lo
rimandarono mezzo morto alla greppia.
La favola consiglia di non farsi avanti, quando non si hanno meriti,
né di offrire servigi di più alta competenza.
Asinus cum quotidie videbat catellum blandiri dominum
et de mensa saturari, et a familia illi largiri plura, sic dixisse
fertur asinus. Si animai immundissimum sic diligit dominus meus et
tota familia, quanto me, si obsequium illi fecero? Plus enim melior
sum cane, qui multis rebus sum utilis. aqua ex sanctis fontibus alor,
cibus mundus mihi datur; meliori vita frui possum et maximum,
honorem habere. Cum haec asinus secum cogitasset, vidit dominum
introire, occurritque velocius, clamans prosilivit, et suprastetit,
levatosque pedes priores imposuit ambobus humeris domini sui, lingua
eum lingens, linit et maculis vestem, fatigat dominum pondere suo.
Clamore autem domini concitatur omnis familia, fustes et lapides
arripiunt (...), asinum faciunt debilem, membris costisque fractis
sic abiciunt ad praesepia lassum atque semivivum.
Haec fabula monet, ne quis indignus se ingerat, ut melioris offìcium
faciat.
(24 novembre 2003)
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