Un cittadino ateniese, al vedere
Esopo in una frotta di ragazzi
giocare a noci, si fermò di botto
e rise come se vedesse un folle.
Più maestro che vittima del riso
intese il vecchio, e piazzò sulla via
un arco con il nervo rallentato:
«Orsù, o sapiente, interpreta il mio
gesto»,
disse. Si fece gente. Quello pensa,
suda, ma non fa luce sull' enigma,
finché s'arrende. E il saggio vittorioso:
«L'arco si spezza se sta sempre teso,
se lo rallenti è pronto al tuo volere».
Così l'anima deve anche giocare
per essere più valida al pensiero.
Puerorum in turba quidam ludentem Atticus
Aesopum nucibus Cum vidisset, restitit,
et quasi delirum risit. quod sensit simul
derisor potius quam deridendus senex,
arcum retensum posuit in media via:
«Heus», inquit «sapiens, expedi quid fecerim».
concurrit populus. ille se torquet diu,
nec quaestionis positae causam intellegit;
novissime succumbit. tum vietar sophus:
«Cito rumpes arcum, semper si tensum habueris;
at, si laxaris, cum voles erit utilis».
Sic lusus animo debent aliquando dari,
ad cogitandum melior ut redeat tibi. |
Fedro
(favolista latino, I sec. d.C.), Favole,
Liber Tertius, 57. Fonte sconosciuta. Per la sentenza, cfr.
Publilio, «Arcum intensia frangit, animum
remissio» Il gioco alle noci era tipico dell'infanzia romana. |