Venne il pavone da Giunone, offeso
perché lui non aveva avuto il dono
del canto, come invece l'usignolo,
che se cantava tutti l'ammiravano:
lui se apriva la bocca lo irridevano.
La Dea per consolarlo gli diceva:
«Ma tu sei più avvenente, sei più
grande,
il tuo collo ha una luce di smeraldo,
piume multicolori nella coda
se l'apri, s'incastonano di gemme».
«Ma la bellezza è muta: che mi serve
se basta un suono a vincermi?"» diceva.
«Il destino ad ognuno dà il suo ruolo.
Tu hai la bellezza, l'aquila la forza,
dell'usignolo è la melodia,
il corvo ha il dono della profezia,
la cornacchia conosce i tristi indizi,
e ogni animale è pago del suo dono.
Non aspirare a quello che non hai,
ne saresti deluso ed infelice.»
Pavo ad Iunonem venit, indigne ferens,
cantus luscinii quod sibi non tribuerit:
illum esse cunctis auribus mirabilem;
se derideri, simili ac vocem miserit.
tunc consolandi gratia dixit dea
«Sed forma vincis, vincis
magnitudine;
nitor smaragdi collo praefulger tuo,
pictisque plumis gemmeam caudam explicas».
«Quo mi» inquit «mutam speciem
si vincor sono?»
«Fatorum arbitrio partes sunt vobis datae;
tibi forma, vires aquilae, luscinio melos,
augurium corvo, laeva cornici omina,
omnesque propriis sunt contentae dotibus
noli adfectare quod tibi non est datum,
delusa ne spes ad querellam reccidat.»
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