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LA FAVOLA |
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La Volpe, le Mosche e il Riccio
di Jean de la Fontaine
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Sulle piaghe e sul sangue una ferita
Volpe, dei boschi vecchia abitatrice,
fuggendo, si traea quel parassita,
che in linguaggio volgar mosca si dice.
Ed accusava col destin gli dèi,
che a quella fin volesser condannarla...
È dura, che una Volpe come lei
dovessero le Mosche anche mangiarla!
- A sciami ecco si gettano, - dicea, -
su me, che son dei boschi la padrona,
e Dio la coda inutilmente crea,
se di cacciarle adesso non son buona.
È dunque questa coda inutil peso?
Oh! maledica il ciel questo importuno
animal, che ti succhia il corpo offeso
e dovrebbe succhiare un po' per uno -.
Rispose al malinconico lamento
un nuovo personaggio, il Riccio, il quale
d'infilzare si offriva a cento a cento
le Mosche colla punta dello strale:
- Poveretta, così libero te
da queste bestie che non han pietà...
- No, no, se tu lo fai, povera me! -
gridò la Volpe, - lascia, in carità...
lascia che mangin queste che son piene;
se le cacci dal corpo mio piagato,
un altro sciame subito ne viene
più feroce che ancor non ha mangiato -.
Aristotele aggiunse un po' di frangia
a questa fiaba e disse per morale
che il mondo è pien di gente che ci mangia,
cortigiani, avvocati e gente tale,
che nel paese nostro mangian meno
solo quando ciascuno ha il ventre pieno.
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Jean
de la Fontaine (poeta francese, 1621-1685),
Favole, 12-13. Fonte Aristotele,
Retorica, II, 20. |
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