Un uomo ricco, un asinaccio ritto,
soleva dire a un suo vicin stracciato
(e stracciato vuol dire letterato)
che il ricco sol di vivere ha diritto.
─ Al ricco deve fare cappello, ─
ei ripeteva, ─ ogni fedel corbello,
non sol, ma è giusto che gli faccia onore
il dotto, il pensatore e il professore.
Costor con tutto il leggere che fanno
non hanno spesso pane da mangiare,
e portan certe vesti così rare
che fan sempre parer d'estate l'anno.
Stanno in alto in stanzucce accanto al tetto
coll'ombra sua ciascuno per valletto.
Povera gente e poveri gli stati,
che fanno i conti addosso ai disperati!
Utile invece è chi spende e spande
del suo liberamente, in lusso, in feste,
che mantien l'artigian e che lo veste
col suo denar e colle imprese in grande.
Ẻ il ricco che le lettere sostenta
e paga chi coi libri lo tormenta
e con omaggi e dediche si strane
che son meno noiose le campane ─.
Così diceva quel grosso babbuasso.
Ben si sentì il poeta sulle prime
gran voglia di risponder per le rime,
ma la giustizia viene di suo passo.
Venne, dico, la guerra, e la vendetta
fu più crudele d'ogni satiretta.
A ferro e fuoco è messa la città,
l'uno scappa di qua, l'altro di là.
Sol disprezzo il babbeo millantatore
nell'esilio trovò, mentre il poeta
ricevette accoglienza onesta e lieta.
State zitti, il saper ha il suo valore.
(2 giugno 2003)
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