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LA FAVOLA |
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Il Topo e l'Ostrica
di Jean de la Fontaine
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Un Topo contadin grillincervello,
della sua vita malcontento e sazio,
lasciò cavoli e rape, ed un più bello
luogo cercando e più libero spazio,
non era ancor dal buco ito due miglia,
che va di meraviglia in meraviglia.
Di qua l'Alpi e di là v'è l'Appennino,
ogni mucchio di terra è una montagna,
e dopo un altro giorno di cammino,
arriva dove in mare il sol si bagna.
Qui vedendo dell'Ostriche, credette
sulle prime che fossero barchette.
- O che bel mondo! - esclama, - o babbo mio,
che non uscisti mai dalla tua tana!
Il mare ed il deserto ho visto anch'io
cogli occhi, e non per giuoco di morgana,
che fa veder le cose entro uno specchio
siccome ho letto sopra un libro vecchio -
Il Topo, rosicchiando in libreria,
se non era un grandissimo sapiente,
qualche nozione di geografia
gli si era pure appiccicata al dente:
vide dunque quell'Ostriche e credette
sulle prime che fossero barchette.
Fra le quali, o lettor, ve n'era alcuna
che al dolce soffio respirando, apriva
le labbra, bella e bianca e grassa e d'una
cosi ghiotta e mirabile attrattiva,
che il Topo disse: - Se non mangio questa,
che cosa di mangiare più mi resta? - .
E subito si fece un grosso conto,
e quando il nicchio un poco si avvicina,
il Topo allunga lo zampino pronto,
ma sul più bello l'Ostrica barbina
il guscio abbassa e pria ch'ei tragga il collo
come dentro a una trappola serrollo.
Dimostra questa istoria in primo loco,
che chi non ha del mondo conoscenza
va facilmente in estasi per poco,
e facilmente crede all'apparenza;
poi si rivolge a quei matricolati
che credon di suonare, e son suonati.
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Jean
de la Fontaine (poeta francese, 1621-1685), Favole,
8-9. Fonte: un epigramma dell'Antologia Palatina (IX, 86). |
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