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Credevate che la fabbrica fosse
archeologia industriale? Sbagliavate. La grande occasione di Nicola
Rubino, trentenne operaio pugliese, è finalmente arrivata. Una
multinazionale, "leader nel settore" della produzione dei motori
diesel, lo ha assunto con un contratto di formazione. Un futuro
garantito e tutelato dal mitico posto fisso lo aspetta come un
miraggio al termine del periodo di prova. In mezzo, ci sono sei mesi
di lavoro infernale: ritmi di produzione pazzeschi sotto il ricatto
continuo del licenziamento, le vessazioni dei capi, le
incomprensioni dei colleghi. Nicola, del resto, è quel che si dice
una testa calda, svelto di mani e di parola: praticamente
ingestibile. Però osserva e registra tutto, lasciandoci assistere
alla messa in scena di sogni e frustrazioni della classe operaia
precarizzata.
«La fabbrica si prende tutto», divorandosi perfino lo spazio
narrativo: non c'è quasi nulla nel romanzo che accada fuori dei suoi
cancelli. Così, quest'opera che ha la forza polemica di un instant
book e l'esattezza di un trattato di globalizzazione applicata, si
caratterizza come il primo esempio italiano di letteratura
post-industriale. Scritto nei ritagli di tempo, è un diario
disilluso di un giovane alienato dalla catena di montaggio in una
fabbrica che ― dice Dezio
― non esiste nella realtà ma è
«la fusione
molecolare del peggio che ho visto e che ho sentito». E raccoglie il
grido di dolore di un’intera generazione di precari, testimonianza
importante della situazione del lavoro italiano nell'era della globalizzazione. |
L'autore:
Francesco Dezio è nato in Puglia nella città del pane e dei
salotti, nel 1970. Il suo esordio letterario risale al 1998, quando
viene pubblicata l'antologia similtondelliana Sporco al Sole,
racconti del sud estremo, curata dagli scrittori Gaetano Cappelli ed
Enzo Verrengia, e il giornalista e critico letterario Michele Trecca. Il
mio racconto viene definito sorta di Trainspotting. Poi finisce il
periodo di disoccupazione e frequenta un corso di formazione quale
operatore alle macchine a controllo numerico. E poi la Grande Fabbrica e
di nuovo la disoccupazione. |