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McTerra come McDonald’s.
Sì, perché secondo Vicente Verdú ―
autore del saggio Pianeta McTerra,
che nell'originale spagnolo ha un titolo un po' diverso: El
estilo del mundo ― le due
realtà stanno velocemente arrivando all’identificazione. Come? In
quello che lui definisce il “capitalismo di finzione”, ovvero la
terza e definitiva tappa del capitalismo.
A differenza dei modelli precedenti -
il capitalismo di produzione e quello dei consumi - il capitalismo
di finzione è amichevole, morbido. La sua strategia di diffusione è
basata sulla seduzione, come dimostrato dalla 'macdonaldizzazione'
del mondo, che ha uniformato i consumi, l'estetica e l'ambientazione
in tutto il pianeta. Il modello è Las Vegas, la città teatro. Dalla
caduta del Muro di Berlino, il sistema ha iniziato a dissolversi, è
diventato impalpabile e invisibile, e grazie a questa rarefazione si
è diffuso ― a partire dagli Stati Uniti ― in modo capillare,
penetrando in ogni angolo della Terra. Si è tramutato, insomma, in
spirito del tempo, in uno stile di vita. L'obiettivo del capitalismo
di finzione non è più la fabbricazione di beni materiali, ma la
creazione di un universo pieno di buonumore, una realtà controllata,
semplice e infantile come un reality show. Tanto che anche i mezzi
di informazione parlano la lingua dell'industria dello spettacolo.
La caduta del muro «avrebbe messo in primo piano la trascendenza dei
segni, il significato dei prodotti avvolti nel linguaggio della
pubblicità».
«Il mondo concepito da Verdù» ― ha scritto Aldo Nove su l'Unità
― «ricorda Matrix, ma al posto delle macchine a sostituirci ci sono
le materializzazioni dei nostri sogni coagulate in un unico sogno
che diventa incubo quando appesantito dalla coscienza che è forse il
pericolo più grosso per chi è nel sistema».
Verdù mette a raffronto due multinazionali, McDonald's e la
catena mondiale di caffè Starbucks. Se McDonald's è in
qualche modo in crisi e se Starbucks riscuote sempre più successo è
perché McDonald's resta in qualche modo legato al capitalismo di
consumo, è piuttosto esplicitamente una catena di montaggio del
cibo. Starbucks no. E' elegante, ci si può fermare a leggere, a
studiare. E' "nuovo" nel senso che si costruisce come direttamente
"alternativo", "diverso".
Questa è la grande trappola dell'attuale capitalismo: vendere
l'omologazione come differenza, in un'allucinazione collettiva dove
a ciascuno è data la stessa identica, funzionale diversità.
«Tutto sommato» ― alla fine conclude Verdú ― «comunque era facile
lottare contro un capitalismo ben identificabile e oscenamente
classista. Questa trasparenza svanisce, invece, fra le braccia del
capitalismo di finzione. Mentre nei capitalismi di produzione e dei
consumi la denuncia contro l'alienazione doveva essere chiara, nel
capitalismo di finzione è l'alienazione stessa ad essere alienata, e
le nostre aspettative, la nostra cultura si ritrovano strettamente
legate al capitale». |
L'autore:
Vicente Verdú (1944), giornalista e scrittore, è autore di
saggi e opinionista del quotidiano
El
País. Tra le sue opere ricordiamo Si usted no
hace regalos le asesinarán (Anagrama, 1971) un libro di disegni che
fu a suo tempo oggetto del più surrealista sequestro della censura
franchista; i saggi Noviazgo y matrimonio en la burgesia espanola
(Edicusa, 1974), Las solteronas (Dopesa, 1978), Il futbol:
mitos, ritos y simbolos (Alianza, 1981), Sentimientos de la vida
cotidiana (Libertarias, 1985) e Domicilios (Edipais, 1987). |