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Owe Wikström ci dice, e non è una
novità,
che «La parola chiave del XX secolo è stata la velocità» e che
«probabilmente l'accelerazione sta dando vita a un'erosione
culturale la cui portata saremo in grado di comprendere solo in
futuro».
Quando? È la domanda che percorre tutto questo libro e ne detta
tempi e osservazioni. Quando troverò un po' di tempo per me stesso? Quando saprò
fermarmi per pensare alle cose che davvero contano nella vita?
Perché è innegabile che, mentre il nostro mondo si muove obbedendo a
ritmi sempre più frenetici e convulsi, mentre e-mail
provenienti da ogni parte del globo si rincorrono sullo schermo del
nostro computer, mentre aerei decollano e ci portano in poche ore
dall'altra parte dell'oceano, noi ci scopriamo e ci sentiamo sempre
più insoddisfatti, affannati, irrequieti. E allora l'unica risposta
possibile alle nostre domande sul "quando" sembra essere proprio
quella consapevole lentezza di cui l'autore fa un instancabile
elogio.
Il testo è pieno di citazioni — dal filosofo cinese Lin Yutang a
Michel de Montaigne e a Blaise Pascal — ma manca, come ha
giustamente fatto notare Beniamino Placido su
la Repubblica,
«una doverosa presa in considerazione di quanto dicevano e pensavano
i romani antichi in proposito»: Festina lente (Affrettati, ma
lentamente), pensando a quanto lentamente si muovono le persone
veramente importanti. |