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Il viandante scalcagnato entrò col
figlioletto nel vestibolo del sontuoso albergo, si diresse verso la cattedra del
portiere e, dopo aver a lungo frugato nella rigonfia borsa spelacchiata che mai
lo abbandonava, ne trasse un biglietto da visita e lo porse all'uomo gallonato.
«Mi annunzi al direttore» disse.
Il portiere, che intanto aveva squadrato dall'alto in basso lo strano
personaggio, le sue scarpe malridotte e il nodoso bastone che a costui serviva
per tener lontano i cani da pastore nelle sue lunghe peregrinazioni, dié
un'occhiata al cartoncino. Di colpo, sbalordito, fece una riverenza al nuovo
venuto e corse ad annunziarlo.
Sul biglietto si leggeva:
«S.E. prof. ing. avv. comm. Pasini».
Dopo poco dall'alto della scalea si precipitava giù il direttore dell'albergo in
persona che, chiamato mentre stava per andare a letto, stava terminando di
infilarsi il tight. Col biglietto in mano fece un profondo inchino al visitatore
e: «In che posso servirla, eccellenza?» disse.
Il viandante scalcagnato si schermì.
«Non sono eccellenza» fece, modesto.
«Ma sul suo biglietto è stampato S.E.» osservò l'altro.
«Sono le iniziali del mio nome: Silvio Enea.»
Il direttore era rimasto un po' smontato.
«Bene professore,» fece «dica pure.»
Nuovamente l'altro ebbe un cortese gesto di
protesta come chi non ambisca i titoli.
«Non sono professore» disse.
«Ma questo "prof."?»
«Abbreviazione di profugo» spiegò il nuovo venuto. «Sono profugo d'un campo di
concentramento.»
«Mi dispiace molto ingegnere» fece il direttore, dopo aver data un'altra
occhiata al biglietto da visita.
«Non sono ingegnere» mormorò il visitatore.
«Eppure,» disse l'altro «qui c'è un "ing.". Non vorrà dirmi» aggiunse in tono
rispettosamente scherzoso «ch'ella sia un ingenuo o un ingiusto, e tanto meno un
ingeneroso.»
«Ingegnoso,» precisò il viandante «nient'altro che ingegnoso. E gliela prova fra
l'altro il fatto d'indicare questa mia virtù con un' abbreviazione che talvolta
mi procura dei vantaggi.»
«Ah,» fece il direttore, con una certa freddezza «allora la chiamerò soltanto
col suo titolo di avvocato.»
Il nuovo venuto fece spallucce.
«Quale titolo?» esclamò tra stupito e divertito per l'equivoco. «Quale avvocato?
Quando feci fare i biglietti da visita non ero in pianta stabile nel posto che
occupavo. Ciò le spiega quell'"avv." che tanto l'ha impressionato e che sta per
avventizio.»
«E qual era questo posto, commendatore?» domandò l'uomo in tight con deferenza;
ché anche il titolo di commendatore, per quanto svalutato, merita qualche
considerazione.
L'altro si fece serio.
«Non sono commendatore» precisò. «Non mi piace attribuirmi titoli che non ho. E
ai quali non tengo.»
«Eppure qui dice "comm."» scattò il direttore. «Oh, perdio santissimo, non sono
mica cieco. Leggete anche voi.» E sventolava il biglietto sotto gli occhi del
portiere ammutolito.
Il viandante scalcagnato non si scompose.
«Abbreviazione di "commissionario"» disse con cortese fermezza. «Ero
commissionario d'albergo.»
S'udì un tonfo.
Il portiere gallonato, che aveva assistito alla scena, cadde lungo disteso. Il
fatto che colui ch'egli aveva ritenuto, non soltanto commendatore, ma
addirittura eccellenza, fosse invece un semplice commissionario fu per il brav'uomo
il crollo di un'illusione. Tanto più che, tratto in inganno da quella sfilza di
presunti titoli, egli aveva elargito al personaggio parecchi rispettosi inchini.
Non si risollevò più dal colpo. Colto da un febbrone, in breve volger di tempo
morì. Ma per fortuna la catastrofe avvenne dopo la fine della scena che è
oggetto del presente racconto.
Quindi non saremo tenuti a rattristare i lettori con la descrizione d'una
degenza complicata da un doloroso delirio.
Per il direttore dell'albergo, intanto, la notizia che il presunto commendatore
altri non fosse che un commissionario fu una doccia fredda sul suo entusiasmo di
poc'anzi.
«Dica, Pasini» mormorò seccamente.
L'altro scosse il capo.
«Che?» urlò il direttore. «Scuote il capo? Non sarebbe per caso nemmeno Pasini?
Questo è troppo.»
Ma l'altro lo tranquillizzò.
«Scuoto il capo per passatempo» disse.
«Bene, brav'uomo» borbottò il direttore; e dovette far forza a se stesso, ché
non gli era facile dar del brav'uomo a uno che pochi istanti prima egli aveva
creduto un commendatore. «Che cosa desidera?»
«Vorrei essere assunto come facchino.»
«E mi fa anche alzare dal letto?» urlò il direttore. «Siamo al completo!»
Gli voltò le spalle piantandolo in asso.
Il viandante scalcagnato affondò il biglietto nella borsa e col figlioletto per
mano si allontanò nella notte.
Achille Campanile
(scrittore umoristico e giornalista italiano, 1899-1977)
Da:
Asparagi e immortalità dell'anima
Nel web:
http://www.campanile.it |