Portiamo la maschera
che ghigna e mente,
ci nasconde le guance e gli occhi adombra, -
questo debito che paghiamo all'inganno umano;
sorridiamo col cuore straziato e sanguinante,
e declamiamo con innumerevoli astuzie.
Perché dovrebbe il mondo essere ultra saggio
e contare le nostre lacrime e sospiri?
No, che ci guardino e basta, mentre
noi portiamo la maschera.
Sorridiamo, ma, O grande Cristo, le nostre grida
salgono a Te da anime torturate.
Cantiamo, ma oh, l'argilla è vile
sotto i nostri piedi, e lunga la strada;
ma che il mondo sogni altrimenti,
noi portiamo la maschera.
We wear the mask that grins and lies,
lt hides our cheeks and shades our eyes, -
This debt we pay to human guile;
With torn and bleeding hearts we smile,
And mouth with myriad subtleties.
Why should the world be overwise,
In counting all our tears and sighs?
Nay, let them only see us, while
We wear the mask.
We smile, but, O great Christ, our cries
To Thee from tortured souls arise.
We sing, but oh, the clay is vile
Beneath our feet, and long the smile;
But let the world dream otherwise,
We wear the mask.
(traduzione di A. Francini) |
Paul Laurence Dunbar (poeta
statunitense, 1872-1906).
Nato a Dayton, Ohio, da ex schiavi, Dunbar è considerato il primo
grande poeta nero della letteratura americana. Non potendo
permettersi una istruzione superiore, lavorò sin da piccolo come
ragazzo da ascensore. Lavoro che gli permise di scrivere il suo libro
d'esordio: Oak and Ivy (1893). Grazie a questa opera ottenne i
primi riconoscimenti e ad essere poi apprezzato da lettori in
prevalenza bianchi. Negli ultimi anni di vita ebbe problemi
psicologici e cedette all'alcol. |