Non dare retta al re,
non dare retta a me.
Chi v'inganna
si fa sempre più alto di una spanna,
si mette sempre un berretto,
incede eretto
con tante medaglie sul petto.
Non date retta al saggio
al maestro del villaggio
al maestro della città,
a chi vi dice che sa.
Sbagliate soltanto da voi
come i cavalli, come i buoi,
come gli uccelli, i pesci, i serpenti
che non hanno monumenti
e non sanno mai la storia.
Chi vive è senza gloria.
Da Il vaporetto
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Alfonso Gatto
(poeta italiano, 1909-1976)
Nato a Salerno da una famiglia di piccoli armatori e marinai
calabresi, ebbe vita avventurosa: studente, commesso di libreria,
precettore, giornalista, insegnante. Dopo un'infanzia burrascosa,
Gatto lasciò Salerno e andò a vivere a Firenze, dove con Pratolini
diresse il periodico d’avanguardia Campo di Marte.
Arrestato nel 1934 per antifascismo, militò poi tra le file della
Resistenza.
Dalle sue prime poesie ― che
denunciavano chiari legami con gli ermetici ―
alle ultime, Gatto passò da un genere di lirica disincantata ad
una più attenta ai problemi della realtà.
Morì tragicamente in un incidente stradale, lasciando un frammento
scritto solo due giorni prima; presagio che assunse un connotato
di estremo messaggio: Quante volte mi fu vicina, quante /
La morte per sorprendermi, quel giorno / Che uscendo dalla nebbia,
dalle piante / Del parco solo me la vidi intorno... |