È di me parte un uomo da
lavoro,
rude le membra e in giubba affumicata,
che tutto nel sonoro
bàttito volge della sua giornata;
è di me parte l'uom che pavoneggia
la vanità della superbia dotta,
e coi bravi gareggia
e pugna dentro alla cívile lotta;
è di me parte l'uom che nell'azzardo
del presente s'incita e la gazzetta
ha per vangel, beffardo
a ciò che non appaga la sua fretta;
è di me parte l'uom che s'apparecchia
il gioir dei conforti
mondani, e non si specchia
che dove è la violenza dei più forti;
e altro ancora: e intendo
il divenir tremendo che non cura
l'opporsi, e si fa storia e natura;
ma dove nel libero indugio
arcanamente s'agita il mio volo,
odio l'usura del tempo
paurosamente solo.
Da Frammenti Lirici,
1913, XXVII
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Clemente Rebora
(poeta italiano, 1885-1957)
Nato a Milano, Clemente Rebora è stato uno dei maggiori poeti del
primo Novecento italiano. Seguì i corsi di filosofia di Piero
Martinetti e collaborò con La Voce prezzoliniana (1908-16).
Ufficiale di fanteria sugli altopiani di Asiago e Gorizia, uno
scoppio di mina compromise il suo già labile sistema nervoso. Ebbe
una crisi religiosa e si avvicinò alle religioni orientali e al
misticismo buddista; scelse poi di entrare nella congregazione dei
rosminiani, diventando sacerdote nel 1936.
Rebora è un poeta della contemporaneità, capace di interrogare il
mondo e di gettare un ponte tra visibile e invisibile, tra fisica
e metafisica. Dopo l’approdo alla fede, la sua poetica si chiarì
ancor meglio con una svolta nei contenuti e nel linguaggio.
Colpito da emorragia cerebrale nel 1952, morì a Stresa
― dove era direttore spirituale al
Collegio Rosmini ― alcuni anni dopo. |