Dovendosi
confrontare continuamente con la propria coscienza, le proprie
convinzioni etiche, religiose e politiche —
ma nel rispetto degli obiettivi della propria organizzazione
—
il manager rischia
continuamente di
avere una opinione quando è al posto di comando, e una del tutto
diversa quando medita prima di addormentarsi. |
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«L'ultima
cosa che mi preoccupi è essere coerente con me stesso»
diceva André Breton. Beato lui che aveva questa certezza, ma di
professione faceva il poeta. I manager
—
invece — operano dovendosi confrontare
continuamente con la propria coscienza, le proprie convinzioni
etiche, religiose e politiche nel rispetto degli obiettivi della
propria organizzazione. Certo è facile entrare in ufficio e
"abbandonare" momentaneamente il proprio cervello da qualche parte
rifiutando di affrontare i problemi che si possono creare col
prossimo. Le scelte e le decisioni che si prendono
—
però
—
portano comunque con sé degli strascichi quando si "riprende" il
cervello e si rimane soli a meditare con la propria coscienza. Le
moderne teorie dicono che il manager di qualità deve essere sé
stesso indipendentemente da tutto; ma quanti in realtà possono
esserlo veramente senza incorrere nel rischio di espulsione perché
non in linea con le direttive della propria organizzazione?
Parafrasando Lichtenberg potremmo azzardare a dire che il manager ha
una opinione quando è al posto di comando e una del tutto diversa
quando medita prima di addormentarsi. «Agisci
in modo da considerare l'umanità come scopo e mai come semplice
mezzo», affermava Kant. Ma il più delle
volte dobbiamo dare ragione a Marx quando diceva che
«non è la coscienza degli uomini a
determinare il loro essere, al contrario è il loro essere sociale a
determinare la loro coscienza». |