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Al timore di fallire - scriveva
Abraham Zaleznik in un articolo pubblicato sulla Harvard Business
Review del 1992 - può corrispondere in alternativa la paura da
successo. Questo ultimo stato d’animo può essere definito come il
“Complesso di Macbeth”, dal nome appunto di uno dei più grandi
personaggi di Shakespeare. Macbeth - ambizioso generale scozzese -
si apre la strada verso il trono prima conducendo battaglie con
estrema violenza, poi uccidendo i suoi rivali ed infine anche il suo
re Duncan, uomo vecchio e gentile che aveva solo sentimenti di
gratitudine e ammirazione nei suoi confronti.
Dopo il regicidio, si dimostra però incapace di attuare con
risoluzione quelle decisioni che dovevano riguardare la sua vita
successiva. Nello stesso istante in cui uccide il sovrano, si rende
conto di provare verso di sé un senso di estraneità. «Sapere quel
che ho fatto! Sarebbe meglio ch’io non sapessi nemmeno chi sono!»
fa rintronare nella sua testa. Viene assalito così da sensi di colpa
per il misfatto commesso, sospetta che altri possano fare
altrettanto con lui, si circonda e si fida solo di pochi subordinati
e tenendo paradossalmente alla larga quelli più forti.
L’insegnamento che Shakespeare ci trasmette è che l’ambizione ha
l’immenso potere di cambiare la nostra vita, ma potenzialmente anche
di rovinarla; nonostante a volte non sia assolutamente vero, ci si
convince di aver raggiunto una certa posizione a scapito di altri.
Il successo porta con sé una sensazione di colpevolezza e con essa
il desiderio di disfare o di rovesciare il comportamento che ha
condotto al successo stesso. Se questi scrupoli sono forti
abbastanza - ed essi sono sempre presenti in ognuno di noi – ecco
allora manifestarsi la paura da successo.
Lo scrittore Emile Cioran, riprendendo probabilmente Shakespeare
alcuni secoli dopo, affermò che «l’ambizione è una droga che fa di
colui che vi si dedica un demente in potenza». Virgilio invece,
molto più saggiamente, consigliava di lodare i grandi poderi, ma -
al fine di mitigare gli eccessi di carattere e anche le grosse
delusioni - consigliava di coltivarne solamente uno piccolo.
27 maggio 2002 |