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Con il singolare titolo
I Blek Macigno della deflazione, è toccato ieri a Geminello Alvi rimpiazzare con la sua prosa accattivante le tesi tecnicistiche di Michael Woodford - professore alla Princeton University – nel prospettare il rischio di tale fenomeno. Alvi coglie a suo dire più di un segnale dai nomi di alcuni siti che attualmente impazzano su Internet:
Orso prudente, Porto sicuro, Guardia tempesta, aggiungendo che siccome «è ovvio che avendo nomi d’indiani ubriachi come quelli che abbondavano una volta nei fumetti di
Bleck Macigno, servano anche a qualche lucro», Essi
― aggiunge ― «assecondano la speculazione al ribasso, con cui sarà bene rammentarlo si lucra come con quella al rialzo, e i suoi molti attori. I quali come certi mercanti dell’oro hanno tutto l’interesse a nutrire di denaro e di argomenti certi siti». Woodford ci spiega invece cosa non capiscono i nostri banchieri centrali, e li definisce «come il famoso generale che pianifica di combattere la scorsa guerra. Ma,
a differenza di una strategia militare datata, le politiche monetarie producono un danno inevitabile, non semplici rischi temibili». La deflazione è un fenomeno quasi del tutto sconosciuto agli italiani ed è l’esatto contrario dell’inflazione. Accade quando i consumi ristagnano o diminuiscono, i prezzi diminuiscono anziché aumentare, e i tassi di interesse si abbassano fino in certi casi ad essere prossimi allo zero. Molti di noi questo fenomeno l’hanno studiato; altri ne hanno
solo sentito parlare. E’ qualcosa che in Italia non si associa di certo a periodi economici e sociali esaltanti. Negli ultimi due secoli – infatti - è capitato una prima volta alla fine dell’ottocento quando intere aree del nostro paese si spopolarono e una parte della popolazione emigrò verso altri paesi europei o le Americhe .La seconda volta accadde con la crisi economica che seguì il crack di borsa del 1929, e le conseguenze furono l’isolamento economico e l’instaurazione di un rigido regime autarchico. Quelli che convivono già da diversi anni con la deflazione e la stagnazione sono i giapponesi. Da molto tempo il Giappone tenta di combattere questo fenomeno con politiche espansive ma con scarso successo. Nel frattempo il loro deficit statale è aumentato paurosamente in rapporto al PIL, ed il sistema bancario sembra solo da poco essere scampato alla bancarotta come conseguenza dell’eccessivo peso delle sofferenze per crediti inesigibili. Molti risparmiatori, visto lo scarso se non addirittura nullo rendimento dei propri risparmi, preferiscono tenere sotto controllo il proprio gruzzolo celandolo magari sotto la classica mattonella o dentro il materasso. Quel che è certo, è che da tempo i giapponesi nutrono una scarsa fiducia sul loro avvenire; fiducia che non viene di certo rinforzata dalla situazione di incertezza e turbolenza che sta caratterizzando l’attuale quadro politico ed economico internazionale. L’inventore americano Franklin Kettering, diceva che «tutti dovremmo preoccuparci del futuro, perché lì dobbiamo passare il resto della propria vita». Seneca, al contrario, non perdeva molto tempo ad attendere e
meditare su questo: preferiva vivere nel presente e definiva disgraziato l’animo che era ansioso del futuro. E i
giapponesi? Probabilmente non hanno mai conosciuto il pensiero di
Seneca. (2 luglio 2002) |