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Nel
dramma scespiriano Re Lear, il sovrano decide di rinunciare
al proprio regno in favore delle tre figlie basandosi non su un
gesto razionale ma utilizzando come unico criterio l’adulazione.
Malgrado la stupidità dimostrata, cedendo a due delle figlie
disposte ad adularlo i possedimenti su cui fondava l’autorità ed
il prestigio, Lear non viene lasciato solo. Nella sua rovina gli
rimangono accanto i suoi uomini più fedeli - Kent, Gloucester e il
Buffone di Corte - che inutilmente l’avevano messo in guardia dai
pericoli di una siffatta decisione.
Questo
ovviamente nel dramma. Ma nelle organizzazioni, una volta passato il
timone del comando, l’ulteriore permanenza si giustifica in certi
casi solo sotto forma di contratto di consulenza che ha spesso più
il sapore di “benservito” che di reale utilità. E intanto i
fidati collaboratori di un tempo sono costretti, obtorto collo,
a saltare armi e bagagli sul carro del vincitore.
Molti manager non
riescono a ricevere informazioni ordinate e precise sulle reali
potenzialità dei più diretti collaboratori poiché, come diceva
Torquato Tasso nel Dialogo dell’amicizia, «essendo
l’adulatore astutissimo, cerca d’imitarla (la libertà del
parlare) a guisa di cuoco, il quale condisce le vivande con diversi
sapori, ed acciocché la soverchia dolcezza non venga a noia, la
tempera coll’agro e coll’aceto». Lo
scrittore greco Plutarco, molti secoli prima,
non aveva alcun dubbio in proposito; uno dei suoi personaggi
- Biante - interrogato su quale fosse l’animale più dannoso, così
risponde: «Se parli delle belve, il tiranno; se degli animali
domestici, l’adulatore.»
Uno
dei personaggi centrali nel dramma di Shakespeare è il Buffone di
Corte. Non ha un proprio nome il Fool e talvolta viene anche chiamato ragazzo. Tuttavia è lui che
recita una parte fondamentale nello sviluppo di questa opera . Del
“Buffone d’Azienda”, però, ne parleremo in un'altra
occasione.
(2 settembre 2002)
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