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Il
concetto di “frontiera del valore” fa riferimento alla relazione tra
la qualità ed il prezzo di un bene. Se da un lato il sistema di
produzione industriale si va orientando verso standard qualitativi
sostanzialmente molto simili, il prezzo continua a mantenere
ancorata a sé la concezione di percezione qualitativa. Ciò significa
che molti consumatori ad un bene di prezzo superiore associano una
qualità percepita maggiore rispetto agli altri beni di costo
inferiore, ove per “costo” si assume il punto di vista del
compratore e non del produttore. Un tale scenario concorrenziale
presupporrebbe una sostanziale staticità del mercato di riferimento,
con una “forbice” netta tra beni dal prezzo di vendita basso e bassa
qualità percepita in contrapposizione ad altri dal prezzo alto ed
alta percezione qualitativa. Rimane – però – da considerare una
ulteriore variabile: la qualità reale del bene. Come già premesso,
il settore della produzione sembra orientato decisamente verso una
standardizzazione dei beni simili, tendenza confermata ulteriormente
dalla concentrazione crescente delle industrie produttrici, in
contrasto con il sostanziale aumento delle marche in commercio
(esempio eclatante è il mercato della telefonia cellulare oppure
quello dei televisori: molte marche, contrazione dei produttori). La
qualità effettiva dunque non differisce in maniera sostanziale tra i
prodotti; una variabile – dunque – quella della qualità appare
bloccata e inflessibile alle logiche di mercato. L’altra variabile
da considerare, il prezzo, sembra essere salva solamente se si
ipotizza un mercato statico e non orientato al dinamismo. In un
contesto attivo, anzi pro-attivo, appare chiaro come le aziende
posizionate nella fascia bassa del rapporto prezzo/qualità (P/Q)
perseguano il loro intento di massimizzazione della propria quota di
mercato tramite una guerra di prezzo nei confronti di quei
concorrenti che – invece – tentano di prolungare una posizione
dominante caratterizzata da un elevato prezzo di vendita. Ciò che
appare immediatamente chiaro è che per le aziende di fascia bassa il
gioco competitivo ha un senso fino al margine estremo della linea
“costo di produzione/prezzo di vendita”, tenderanno dunque verso
quel confine…trascinando con sé anche quelle aziende di fascia
superiore, che non possono correre il rischio di rimanere “fuori
mercato”. Questo gioco perverso tra concorrenti porta
inesorabilmente verso un punto terminale in cui tutti offriranno lo
stesso bene allo stesso prezzo: “ultima frontiera del valore”.
Esposto il problema, quale la possibile soluzione? Con due variabili
reali bloccate (prezzo e qualità), la terza “apparente” assume molta
importanza: la qualità percepita. Il consumatore sta diventando
sempre più razionale e non sembra più disposto a comprare ad occhi
chiusi un bene dal valore elevato senza una – ormai logica –
valutazione del costo/beneficio. Sembra, dunque, ormai alquanto
inopportuno offrire un bene ad un prezzo non corrispondente ad una
reale qualità effettiva. La differenziazione emotiva tra i beni
sembra invece in grado di sottrarre le imprese alla guerra efferata
sui prezzi teorizzata nell’ultima frontiera del valore: tale tipo di
differenziazione fa riferimento al valore della marca, alle
intricate relazioni e reazioni neuronali che si attivano in un
individuo quando la marca che sceglie non è solo effimeramente
legata a ciò che offre, ma relazionata al mondo di sentimenti che
riesce a scatenare nell’individuo. Sembrerebbe molto strano, ma in
una tale logica, ormai il contenitore vale molto più del contenuto.
10 gennaio 2005 |