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Il senso di
frustrazione nasce dalla consapevolezza di vedere inespresse le
proprie ambizioni. Capita sovente nell'ambiente di lavoro di
raccogliere gli sfoghi di colleghi, i quali —
a torto o a ragione — credono che i loro
meriti non siano tenuti nella giusta considerazione dai propri capi,
e sono convinti di occupare una posizione inferiore alle proprie
capacità. Se si è veramente bravi e si presta la propria opera in
una organizzazione "sana", è solo questione di tempo: prima o poi le
capacità verranno riconosciute. Francesco Alberoni, in un articolo
di qualche tempo fa sul Corriere della Sera, diceva che:
«il tempo gioca sempre a favore della
persona di grande intelligenza perché trova sempre il modo di
rendersi indispensabile: dando un consiglio appropriato, risolvendo
un problema che sembrava insolubile, inventando nuove attività».
L'unica accortezza
—
aggiungeva
—
è quella di non attribuirsene il merito, ma sostenere che gli altri
ci sono arrivati da soli, evitando così di risultare presuntuoso.
Certo che se
—
per tutta una serie di ragioni
—
l'organizzazione è ingessata, l'unica via percorribile per porre
fine alle proprie frustrazioni rimane quella di confrontarsi di
nuovo col mercato del lavoro, sperando di trovare altrove la giusta
collocazione. Ricordate però che, come diceva François
La Rochefoucauld, «è più facile sembrare
degni delle cariche che non si hanno che di quelle che si ricoprono». |