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Theodor W. Adorno
(1903-1969) |
Del filosofo tedesco
Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno, esponente di spicco
― con Max Horkheimer, Herbert Marcuse,
Walter Benjamin, Erich Fromm ed altri ― della
Scuola di Francoforte, si celebra quest'anno il primo centenario
della nascita. Gli interessi di Adorno sono stati vastissimi
e la sua opera ha spaziato, oltre che nella sociologia e
filosofia, anche nella critica letteraria, musica e storia della
civiltà. Non ha mai scritto opere sistematiche, preferendo
invece la formula di saggi brevi, articoli e aforismi. L'opera più
significativa, Dialettica sull'Illuminismo, la scrisse in
collaborazione con Horkheimer fra il 1942 e il 1944
― quando entrambi erano esuli negli
Stati Uniti ― e che fu pubblicata poi
solo dopo la guerra nel 1947 ad Amsterdam. Nel 1944 scrisse
Minima Moralia - Meditazioni della vita offesa, dove il
filosofo ricompone ― attraverso
centocinquantatre aforismi solo in apparenza slegati tra di loro
― l'intero orizzonte della vita sociale, politica e culturale
dell'uomo occidentale.
Col ventesimo aforisma
Pierino Porcospino (Struwwelpeter) Adorno, alla
critica dell'estetica fatta in nome del bello, contrappone un
feroce giudizio sulla mancanza di eleganza mettendo a nudo l'uso
del gusto
formale delle convenienze. Il titolo di questo aforisma è
chiaramente ispirato al mitico personaggio inventato dallo
psichiatra tedesco Heinrich Hoffmann (1809-1894), per sottolineare
intenzionalmente l'atrofia e la mancanza di tatto che
caratterizza sempre più il genere umano. Alcune riflessioni poi
anticipano di molti decenni i sintomi che lui definisce da
«paralisi del contatto», facendoci venire in mente l'uso (ed
abuso) che si fa oggi dei messaggi di posta elettronica.
Luca Liguori (15 dicembre 2003) |
Pierino Porcospino
Hume, cercando di difendere contro i suoi compatrioti, tutti
rivolti alle cose del mondo, la contemplazione teoretica, la «pura
filosofia» (che non ha mai avuto buona fama tra i gentlemen), si
servì di questo argomento: «L'esattezza torna sempre di vantaggio
alla bellezza, il retto pensiero alla delicatezza del sentire».
L'argomento, pur essendo a sua volta pragmatico, contiene
implicitamente e negativamente tutta la verità sullo spirito della
prassi. Gli ordinamenti pratici della vita, che pretendono di
giovare agli uomini, determinano, nell'economia del profitto,
l'atrofia di tutto ciò che è umano, e via via che si estendono
eliminano sempre più ogni delicatezza. Poiché la delicatezza tra gli
uomini non è che la coscienza della possibilità di rapporti liberi
da ogni scopo, che sfiora tuttora ― consolante
― gli uomini avvinti
agli scopi: eredità di antichi privilegi che è la promessa di un
mondo senza privilegi. La liquidazione del privilegio ad opera della
ratio borghese finisce per liquidare anche questa promessa. Quando
il tempo è denaro, sembra morale risparmiare tempo, soprattutto il
proprio, e si legittima questa parsimonia col riguardo per l'altro.
Non si fanno più cerimonie. Ogni velo che si frappone nel commercio
tra gli uomini è avvertito come una perturbazione nel funzionamento
della macchina in cui non solo sono oggettivamente incorporati, ma
con cui s'identificano con orgoglio. Che, anziché levarsi il
cappello, si salutino con l'allò di una familiare indifferenza, o
che, invece di lettere, si scambino «inter office communications»
senza indirizzo e senza firma, sono sintomi, scelti a caso, di una
paralisi del contatto. Paradossalmente, l'estraniazione si manifesta
negli uomini come caduta delle distanze. Poiché solo in quanto non
sono sempre a ridosso gli uni agli altri nel ritmo di dare e di
prendere, discussione ed esecuzione, direzione e funzione, resta
sufficiente spazio tra di loro per il tessuto sottile che li collega
gli uni agli altri e nella cui esteriorità soltanto si cristallizza
l'interiorità. Certi reazionari, come i seguaci di Jung, hanno
osservato questo fatto,
«È un'abitudine caratteristica delle persone che non sono ancora
completamente foggiate dalla civiltà, quella di non affrontare
direttamente un argomento, e di non nominarlo troppo presto; il
colloquio deve dirigersi quasi da sé, a spirali, verso il suo vero
oggetto» (G.R. Heyer, in un saggio su «Eranos»). Oggi, invece, il
collegamento più breve fra due persone è, come tra due punti, la
retta. Come accade per le pareti delle case che sono gettate in un
pezzo solo, il cemento tra gli uomini è sostituito dalla pressione
che li tiene insieme. Tutto ciò che si scosta da questo modello, non
è più compreso, ed appare, se non come specialità viennese e
cortesia da maitre d'hotel, come confidenza infantile e illecito
approccio. Nelle due o tre frasi sullo stato di salute della
consorte che precedono il colloquio d'affari al lunch, anche
l'antitesi all'ordinamento degli scopi è stata afferrata e
incorporata in quest'ultimo. Il tabù contro i discorsi
professionali e l'incapacità di discorrere insieme sono, in realtà,
la stessa cosa. Poiché tutto è affari, il loro nome non può essere
fatto, come non si può parlare della corda in casa dell'impiccato.
Dietro la demolizione pseudodemocratica delle formalità, della
cortesia vecchio stile e della conversazione ormai inutile e
sospetta ― non del tutto a torto
― di non essere che pettegolezzo,
dietro l'apparente chiarezza e trasparenza dei rapporti umani, che non tollera
più nulla di indefinito, si annuncia la pura brutalità.
La parola diretta, che senza dilungarsi, senza esitare, senza
riflessione, ti dice in faccia come stanno le cose, ha già la forma
e il tono del comando che, sotto il fascismo, i muti trasmettono ai
muti. La semplicità e oggettività dei rapporti, che elimina ogni
orpello ideologico tra gli uomini, è già diventata un'ideologia in
funzione della prassi di trattare gli uomini come cose.
Theodor G. Adorno
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