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JEAN-JACQUES ROUSSEAU (filosofo francese, 1712-1778)

Indice III | II | I | Spotlights | Controcorrente

ALLA REPUBBLICA DI GINEVRA
Dedica "Sull'origine dell'ineguaglianza"

Avrei voluto dunque che nello Stato nessuno potesse considerarsi al di sopra della legge, e che dall'esterno nessuno avesse potuto imporre qualcosa che lo Stato fosse obbligato ad accettare; poiché, […], se c'è un solo uomo che non sia sottoposto alla legge, tutti gli altri si trovano di necessità sottoposti al suo arbitrio.

 
Jean-Jacques Rousseau (filosofo francese, 1712-1778)

Magnifici, onoratissimi e sovrani signori,

Nella convinzione che solo il cittadino virtuoso abbia il diritto di rendere alla patria onori che essa possa accettare, lavoro già da trent'anni per essere degno di offrirvi un pubblico omaggio; e dato che questa felice occasione compensa in parte le deficienze dei miei sforzi, mi è parso ora lecito affidarmi allo zelo che mi anima più che al diritto che avrebbe dovuto autorizzarmi. Avendo avuto la fortuna di nascere tra di voi, come potrei meditare sull'eguaglianza che la natura ha posto tra gli uomini, e sull'ineguaglianza che essi vi hanno introdotto, senza pensare alla profonda saggezza con la quale l'una e l'altra, felicemente combinate in questo Stato, concorrono alla conservazione dell'ordine pubblico e alla felicità degli individui nel modo più vicino alla legge naturale e più favorevole alla società? Cercando le regole migliori dettate dal buon senso sulla costituzione di un governo, sono stato talmente colpito nel vederle tutte messe in pratica da voi che, anche se non fossi nato tra le vostre mura, non avrei potuto fare a meno di offrire questo quadro della società umana proprio a quel popolo che mi sembra ne possegga i più grandi pregi, e ne abbia meglio prevenuto gli abusi.

Se avessi avuto la possibilità di scegliere il luogo della mia nascita, avrei scelto una società di una grandezza proporzionata ai limiti delle facoltà umane, cioè alla possibilità di essere ben governata, e nella quale ciascuno fosse pari al proprio compito, in modo che nessuno si trovasse costretto ad affidare ad altri le proprie funzioni: uno Stato nel quale tutti si conoscessero tra di loro, cosicché né le manovre tortuose del vizio né la modestia della virtù potessero sfuggire agli sguardi e al giudizio dell'opinione pubblica; e nel quale la dolce abitudine di vedersi e conoscersi reciprocamente rendesse l'amor di patria amore per i concittadini piuttosto che amore per la terra.

Avrei voluto nascere in un paese in cui sovrano e popolo avessero un unico e identico scopo, in modo che tutti i movimenti del meccanismo tendessero soltanto alla felicità comune; e poiché ciò è possibile solo quando popolo e sovrano s'identificano, ne deriva che avrei voluto nascere sotto un governo democratico saggiamente temperato.

Avrei voluto vivere e morire libero, cioè sottomesso alle leggi in modo tale che né io né alcun altro potessimo liberarci dal loro onorevole giogo, quel giogo salutare e dolce che gli uomini più fieri sopportano tanto piti docilmente in quanto non sono nati per portarne altri.

Avrei voluto dunque che nello Stato nessuno potesse considerarsi al di sopra della legge, e che dall'esterno nessuno avesse potuto imporre qualcosa che lo Stato fosse obbligato ad accettare; poiché, qualunque sia la costituzione di un governo, se c'è un solo uomo che non sia sottoposto alla legge, tutti gli altri si trovano di necessità sottoposti al suo arbitrio; e se ci sono un capo nazionale e un capo straniero, comunque si dividano il potere, è impossibile che tutti e due siano obbediti, e che lo Stato sia ben governato.

Non avrei voluto vivere in una repubblica di nuova istituzione, anche se avesse avuto buone leggi, nel timore che, qualora il governo, costituito forse in modo diverso da quanto richiesto dalle necessità del momento, non si adattasse ai nuovi cittadini, o i cittadini al nuovo governo, lo Stato corresse il rischio di essere travolto o distrutto sul nascere; perché accade con la libertà come con i cibi forti e succulenti o con i vini generosi, adatti a nutrire e rafforzare gli organismi robusti che vi sono abituati, ma che opprimono, rovinano e ubriacano quelli deboli e delicati che non li sopportano. Quando i popoli si abituano ai padroni non sono più in grado di farne a meno.
Se tentano di scuotere il giogo si allontanano sempre più dalla libertà; giacché, scambiandola con una licenza sfrenata che è il suo opposto, le loro rivoluzioni li abbandonano quasi sempre a dei seduttori che non fanno che rendere più pesanti le loro catene. Lo stesso popolo romano, modello di tutti i popoli liberi, non fu capace di governarsi, appena usci dall'oppressione dei Tarquini. Avvilito dalla schiavitù e dai lavori vergognosi che gli erano stati imposti, non era al principio che una stupida plebaglia che si dovette guidare e governare con la massima accortezza; in modo che, abituandosi a poco a poco a respirare l'aria salubre della libertà, quelle anime, snervate o piuttosto abbrutite dalla tirannide, potessero raggiungere gradualmente quella severità di costumi e quella coraggiosa fierezza che lo resero infine il più rispettabile di tutti i popoli. Avrei dunque cercato come patria una felice e tranquilla repubblica, le cui origini si fossero perdute in qualche modo nella notte dei tempi; che fosse stata messa alla prova solo da attacchi tali da rivelare e rafforzare nei suoi abitanti il coraggio e l'amor di patria, e nella quale i cittadini, abituati da tempo a una saggia indipendenza, fossero non solo liberi, ma degni di esserlo.

Avrei voluto scegliere per me una patria aliena, per una fortunata incapacità, dal feroce amore delle conquiste, e garantita, per una situazione ancora più fortunata, dal timore di diventare essa stessa conquista di un altro Stato: una città libera situata tra molti popoli, di cui nessuno interessato ad invaderla, e ciascuno interessato ad impedire agli altri d'invaderla; in una parola, una repubblica che non fosse una tentazione per l'ambizione dei suoi vicini, e che potesse ragionevolmente contare, in caso di bisogno, sul loro aiuto. Ne deriva che, in una posizione così felice, essa avrebbe dovuto temere solo di se stessa, e che, se i suoi cittadini si fossero esercitati nelle armi, lo avrebbero fatto più per nutrire in sé quell'ardore guerriero e quella coraggiosa fierezza che tanto si addice alla libertà e ne alimenta il gusto, che per la necessità di provvedere alla propria difesa.

Avrei cercato un paese nel quale il potere legislativo fosse diritto di tutti i cittadini; perché, chi può sapere meglio a quali condizioni conviene loro di vivere insieme in una stessa società? Ma non avrei approvato plebisciti simili a quelli dei Romani, in cui i capi dello Stato e i più interessati al suo mantenimento erano esclusi da quelle decisioni da cui spesso dipendeva la sua salvezza, e in cui, per un'assurda incoerenza, i magistrati erano privati dei diritti di cui godevano i semplici cittadini.

Avrei al contrario desiderato, per impedire i progetti non disinteressati e mal ideati e le dannose innovazioni che causarono alla fine la rovina degli Ateniesi, che non fosse concesso a chiunque il potere di proporre nuove leggi a suo arbitrio; che questo diritto fosse conferito solo ai magistrati, i quali del resto avrebbero dovuto usarlo con molta cautela; che il popolo da parte sua fosse molto guardingo a dare il suo consenso a quelle leggi, e che la promulgazione di esse potesse, farsi solo con particolare solennità, cosicché, prima che la costituzione fosse sconvolta, ci fosse il tempo di convincersi che è soprattutto la grande antichità delle leggi che le rende sante e venerabili, poiché il popolo disprezza presto quelle che vede cambiare ogni giorno, mentre, quando ci si abitua a trascurare gli antichi usi col pretesto di fare meglio, si giunge spesso a mali maggiori per correggere mali minori.

Avrei evitato soprattutto, perché necessariamente mal governata, una repubblica in cui il popolo, credendo di poter fare a meno dei suoi magistrati o di lasciare ad essi solo un'autorità fittizia, si fosse imprudentemente riservata l'amministrazione degli affari civili e l'esecuzione delle proprie leggi; tale dovette essere la rozza costituzione dei primi governi usciti appena dallo stato di natura, e tale fu anche uno dei vizi che portarono alla rovina della repubblica ateniese.

Ma avrei scelto una repubblica in cui gli individui, riservandosi il compito di dare la loro sanzione alle leggi e di decidere in assemblee, sulla base di rapporti dei capi, le più importanti questioni pubbliche, costituissero tribunali rispettati, con diverse sezioni ben distinte, dove i più capaci e i più onesti dei loro concittadini sarebbero stati eletti di anno in anno per amministrare la giustizia e governare lo Stato, e dove, essendo in tal modo la virtù dei magistrati testimonianza della saggezza del popolo, essi si onorassero reciprocamente. Cosicché, se pure a volte dei funesti malintesi avessero potuto turbare la concordia pubblica, anche quei periodi di cecità e di errori sarebbero stati contrassegnati da testimonianze di moderazione, di reciproca stima e di comune rispetto delle leggi, presagi e garanzia di una riconciliazione sincera e perenne.

Questi sono, magnifici, onoratissimi e sovrani signori, i pregi che avrei cercato nella patria che mi sarei scelta. Se poi la provvidenza vi avesse aggiunto una posizione incantevole, un clima temperato, una terra fertile, e il paesaggio più delizioso che vi sia sotto il cielo, non avrei desiderato altro, per completare la mia felicità, che di godere tutti questi beni nel .seno di questa patria felice, vivendo in pace in una dolce comunanza con i miei concittadini, praticando verso di loro, e sul loro esempio, l'umanità, l'amicizia e tutte le virtù, e lasciando alla mia morte l'onorato ricordo di un uomo dabbene e di un onesto e virtuoso patriota.

E se, meno fortunato o troppo tardi saggio, mi fossi ridotto a finire in altri climi una esistenza debole e stentata, rimpiangendo inutilmente il riposo e la pace sottrattami da una imprudente giovinezza, avrei almeno coltivato nella mia anima quegli stessi sentimenti che non mi sarebbe stato concesso di utilizzare in patria; e, compenetrato di un affetto tenero e disinteressato per i miei concittadini lontani, avrei indirizzato loro dal fondo del mio cuore più o meno il seguente discorso.

Miei cari concittadini, o meglio fratelli miei, perché, oltre che le leggi, i legami del sangue ci uniscono quasi tutti, è per me dolce non poter pensare a voi senza pensare contemporaneamente a tutti i beni di cui voi godete, dei quali forse nessuno di voi sente il valore più di me che li ho perduti. Più rifletto sulla vostra condizione politica e civile e meno posso immaginare che la natura delle cose umane possa permetterne una migliore. In tutti gli altri governi, quando si tratta di assicurare il maggior bene dello Stato, tutto si limita a progetti teorici, e tutt'al più a semplici possibilità. In quanto a voi, la vostra felicità è un fatto compiuto, non resta che goderne, e voi non avete bisogno, per divenire perfettamente felici, che di sapervi contentare di esserlo. La vostra sovranità, ottenuta o riconquistata con la forza delle armi, e conservata per due secoli col valore e la saggezza, è infine pienamente e universalmente riconosciuta. Trattati onorevoli fissano i vostri confini, rendono sicuri i vostri diritti, rafforzano la vostra tranquillità.
La vostra costituzione è eccellente, ispirata dalla più sublime ragione, e garantita da potenze amiche e rispettabili; il vostro Stato è tranquillo, non dovete temere né guerre né invasori; non avete altri padroni che le sagge leggi da voi fatte, amministrate da onesti magistrati che voi avete scelto; non siete tanto ricchi da essere fiaccati dall'ozio e perdere in vani diletti il gusto della vera felicità e delle forti virtù, né tanto poveri da aver bisogno di un aiuto straniero maggiore di quello che vi procura la vostra industria; e quella preziosa libertà, che le grandi nazioni conservano solo a prezzo di enormi imposte, non costa a voi quasi niente.

Possa durare sempre, per la felicità dei suoi cittadini e come esempio per i popoli, una repubblica organizzata in modo tanto saggio e felice. Ecco il solo augurio che si può ancora farvi, la sola cura che dovete avere. Sta a voi soli, ormai, non creare la vostra felicità, perché i vostri antenati ve ne hanno tolta la preoccupazione, ma renderla duratura sapendola usare bene. Dalla vostra unione perenne, dalla vostra ubbidienza alle leggi, dal vostro rispetto per coloro che le amministrano dipende la vostra stabilità. Se in voi resta il minimo germe di astio o di diffidenza, affrettatevi a distruggerlo come un dannoso lievito da cui deriverebbero prima o poi le vostre sventure e la rovina dello Stato: vi supplico di esaminare il fondo dei vostri cuori, e di consultare la voce segreta della vostra coscienza. Qualcuno di voi conosce nell'universo un ordine più onesto, illuminato, intelligente della vostra magistratura? Tutti i suoi membri non vi danno forse l'esempio della moderazione, della semplicità di costumi, del rispetto per le leggi e della più profonda concordia? Riponete dunque senza riserve in questi capi così saggi quella fiducia salutare che la ragione deve alla virtù; pensate che voi li avete eletti, e che essi meritano la vostra fiducia; e che gli onori dovuti a coloro ai quali avete conferito un'alta carica si riflettono necessariamente su voi stessi. Nessuno di voi è così poco illuminato da ignorare che dove non esistono più il vigore delle leggi e l'autorità dei loro difensori non può esserci sicurezza e libertà per nessuno.
Niente altro dunque è necessario per voi, se non di fare volontariamente e con piena fiducia ciò che in ogni caso dovreste fare per un effettivo interesse, per dovere e per ragionamento.
Una colpevole e funesta indifferenza per il mantenimento della costituzione non vi faccia mai trascurare, in caso di necessità, i saggi consigli dei più illuminati e dei più zelanti tra voi; ma la giustizia, la moderazione, la più rispettosa fermezza guidino sempre i vostri passi, e vi mostrino a tutto l'universo come l'esempio di un popolo fiero e modesto, geloso della sua gloria come della sua libertà. Guardatevi soprattutto sempre, e questo sarà il mio ultimo consiglio, dai giudizi faziosi e dai discorsi velenosi, i moventi segreti dei quali sono spesso più dannosi delle azioni a cui mirano. Tutta una casa si sveglia e sta all'erta alle prime grida di un bravo e fedele guardiano che abbaia solo all'avvicinarsi dei ladri; ma è odiosa la molestia di quegli animali rumorosi che turbano continuamente la tranquillità pubblica e i cui avvertimenti continui e inopportuni non si fanno ascoltare nemmeno quando sono necessari.

E voi, magnifici e onoratissimi signori, voi, degni e rispettabili magistrati di un popolo libero, permettetemi di offrirvi in modo particolare i miei omaggi e i miei rispetti. Se c'è nel mondo un ceto che di per se stesso onora coloro che ne fanno parte, è senza dubbio quello che si raggiunge con l'ingegno e la virtù, quello di cui voi siete stati degni, e al quale i vostri concittadini vi hanno innalzato. Il merito di essi aggiunge anche al vostro un nuovo splendore; e scelti al proprio governo da uomini capaci essi stessi di governarne altri, vi considero tanto al di sopra di altri magistrati, quanto un popolo libero, e soprattutto quello di cui voi avete l'onore di essere alla guida, è con i suoi lumi e la sua ragione al di sopra della plebe di altri Stati.

Mi sia permesso di citare un esempio di cui dovrebbe restare ricordo migliore, e che sarà sempre presente al mio cuore. Non posso rievocare senza la più dolce emozione il ricordo del virtuoso cittadino che mi ha dato la vita, e che spesso m'insegnò da bambino il rispetto che a voi era dovuto. Lo vedo ancora vivere del lavoro delle sue mani e nutrire il suo spirito con le più alte verità. Vedo Tacito, Plutarco e Grozio, sparsi davanti a lui con gli strumenti del suo mestiere. Vedo al suo fianco un figlio diletto, che accoglie con troppo poco frutto il tenero insegnamento del migliore dei padri. Ma se i traviamenti di una folle giovinezza mi fecero dimenticare per un certo periodo delle lezioni così sagge, ho la gioia di sentire che, per quanto si sia inclini al vizio, è difficile che un'educazione in cui è impegnato il cuore resti perduta per sempre.

Sono cosi, magnifici e onoratissimi signori, i cittadini e anche i semplici abitanti i nati nello Stato che voi governate; sono cosi quegli uomini istruiti e di buon senso, dei quali sotto il nome di operai e di popolo si hanno nelle altre nazioni opinioni cosi vili e false. Mio padre, lo confesso con gioia, non si distingueva tra i suoi concittadini; era soltanto ciò che sono tutti, e cosi come era, la sua compagnia sarebbe stata in ogni paese ricercata, coltivata, e anche con giovamento, dalle persone più distinte. Non mi compete e, grazie al cielo, non è necessario parlarvi del rispetto che possono aspettarsi da voi gli uomini di questa tempra, vostri eguali per educazione oltre che per i diritti della natura e della nascita; vostri inferiori per volontà loro, per la preferenza che debbono e che hanno accordato al vostro merito, e per la quale voi dovete loro a vostra volta una certa riconoscenza. So con quanta dolcezza e benevolenza voi temperate verso di loro la gravità confacente ai ministri della legge, come ricambiate con stima e attenzione quanto essi vi debbono di ubbidienza e rispetto; modo di agire giusto e saggio, adatto ad allontanare sempre più il ricordo di eventi sciagurati che bisogna dimenticare per non rivederli mai più; modo di agire tanto più sensato, in quanto questo popolo equo e generoso considera un piacere il proprio dovere, è portato naturalmente ad onorarvi, e i più ardenti sostenitori dei propri diritti sono i più portati a rispettare i vostri.

Non è certo straordinario che i capi di una società civile ne amino la gloria e la felicità, ma lo diventa anche troppo per la tranquillità degli uomini che coloro i quali si considerano i magistrati, o addirittura i maestri di una patria più santa e più alta, dimostrino un po' di attaccamento per la patria terrestre che li nutre. Sono molto lieto di poter fare in nostro favore un'eccezione cosi rara, e collocare tra i nostri migliori concittadini gli zelanti depositari dei sacri dogmi autorizzati dalle leggi, i venerabili pastori di anime, la cui viva e dolce parola fa penetrare più profondamente nei cuori le massime del Vangelo, perché sono essi stessi i primi a metterle in pratica! Tutti sanno con quanto successo l'arte della predicazione sia coltivata a Ginevra. Ma troppo abituati a veder parlare in un modo e agire in un altro, pochi sanno fino a che punto lo spirito del cristianesimo, la santità dei costumi, la severità verso se stessi e la dolcezza verso gli altri dominino tra i nostri ministri del culto. Forse è particolarità della sola città di Ginevra mostrare l'esempio edificante di un'intesa cosi perfetta in una società di teologi e di letterati. È in gran parte sulla loro ben nota saggezza e moderazione, sul loro zelo per le fortune dello Stato che io fondo la speranza della sua perenne tranquillità; e noto con un piacere pieno di stupore e rispetto come essi inorridiscano di fronte agli orribili principi di quegli uomini esecrabili e barbari di cui la storia offre più di un esempio, e che, per sostenere i pretesi diritti di Dio, cioè i loro interessi, erano tanto poco avari di sangue umano, in quanto s'illudevano che il loro sarebbe stato sempre rispettato.

E potrei ora dimenticare quella preziosa metà della repubblica che costituisce la felicità dell'altra, e che con la sua dolcezza e saggezza mantiene la pace e i buoni costumi? Amabili e virtuose cittadine, destino del vostro sesso sarà sempre quello di dirigere il nostro. Noi fortunati quando il vostro casto potere, esercitato solo nella unione coniugale, non si fa sentire che per la gloria dello Stato e per la felicità pubblica. È in tal modo che le donne comandavano a Sparta, ed è in tal modo che voi meritate di comandare a Ginevra. Quale barbaro saprebbe resistere alla voce dell'onore e della ragione sulla bocca di una tenera sposa? e chi non disprezzerebbe un vano lusso dopo aver visto il vostro semplice e modesto abbigliamento, che per lo splendore che deriva da voi sembra il più favorevole alla bellezza? Sta in voi conservare sempre col vostro dominio amabile e innocente e col vostro spirito persuasivo l'amore delle leggi nello Stato e la concordia tra i cittadini; e riunire con felici matrimoni le famiglie divise, e soprattutto correggere, con la dolcezza convincente dei vostri ammonimenti e con la grazia modesta della vostra compagnia, le stravaganze che i nostri giovani apprendono da altri paesi, dai quali, invece delle tante cose utili da cui trarre profitto, riportano solo, insieme con un tono puerile e delle arie ridicole apprese tra le donne perdute, l'ammirazione per non si sa quali immaginarie grandiosità, fatui compensi della servitù, che non avranno mai il valore dell'augusta libertà. Siate dunque sempre ciò che siete, caste guardiane dei costumi, e dolci vincoli della pace; e continuate a far valere, in ogni occasione, i diritti del cuore e della natura a vantaggio del dovere e della virtù.

Mi lusingo di non esser smentito dai fatti affidando a tali garanzie la speranza della comune felicità dei cittadini e della gloria della repubblica. Ammetto che, con tutti questi pregi, essa non brillerà di quello sfarzo, da cui tanti restano abbagliati, e il gusto del quale, puerile e funesto, è il più mortale nemico della felicità e della libertà. La giovinezza dissoluta cerchi altrove facili piaceri e lunghi rimpianti. Le pretese persone di gusto ammirino in altri luoghi la grandiosità dei palazzi, la bellezza degli equipaggi, i superbi arredi, la pompa degli spettacoli, e tutte le raffinatezze dell'effeminatezza e del lusso. A Ginevra si troveranno solo uomini; e tuttavia un tale spettacolo ha ben il suo valore, e coloro che lo cercheranno non saranno certo inferiori a coloro che ammirano il resto.

Degnatevi, magnifici, onoratissimi e sovrani signori, di accogliere tutti con la medesima bontà la rispettosa testimonianza dell'interesse che io nutro per le vostre comuni fortune. Se fossi stato tanto sfortunato da incorrere in qualche eccesso indiscreto in questa fervida effusione del mio cuore, vi supplico di perdonarlo in nome del tenero amore di un vero patriota, e dell'ardente e legittimo zelo di un uomo che non considera maggiore felicità per se stesso che quella di vedervi tutti felici.

Sono con il più profondo rispetto,
Magnifici, onoratissimi e sovrani signori, il vostro umilissimo ed obbedientissimo servitore e concittadino

Jean-Jacques Rousseau
 

Chambéry, 12 giugno 1754
 

Tratto da: Discorso sull'origine e i fondamenti dell'ineguaglianza degli uomini, a cura di Valentino Giarratano. Editori Riuniti.

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