Il manuale di Epitteto (Enchiridion)
traduzione di Giacomo Leopardi
Le cose sono di due maniere; alcune in potere nostro, altre no. Sono
in potere nostro l'opinione, il movimento dell'animo, l'appetizione,
l'aversione, in breve tutte quelle cose che sono nostri propri atti.
Non sono in poter nostro il corpo, gli averi, la riputazione, i
magistrati, e in breve quelle cose che non sono nostri atti.
Le cose poste in nostro potere sono di natura libere, non possono
essere impedite né attraversate. Quelle altre sono deboli, schiave,
sottoposte a ricevere impedimento, e per ultimo sono cose altrui.
[…]
Astienti dunque dall'avversione rispetto a qual si sia cosa di
quelle che sono in nostro potere, e in quella vece fa' di usarla
rispetto alle cose che, nel numero di quelle che sono in tua
facoltà, si troveranno essere contro natura. Dall'appetizione tu ti
asterrai per ora in tutto. Perciocché se tu appetirai qualcuna di
quelle cose che non dipendono da noi, tu non potrai fare di non
essere sfortunato; e delle cose che sono in potestà dell'uomo, non
ti si appartiene per ancora alcuna di quelle che sarebbero degne da
desiderare. Per tanto tu non consentirai a te medesimo se non se i
primi movimenti e le prime inclinazioni dell'animo ad appetire o
schivare, con questo però che elle sieno lievi, condizionali e senza
veruno impeto.
[…]
Gli uomini sono agitati e turbati, non dalle cose, ma dalle opinioni
ch'eglino hanno delle cose. Per modo di esempio, la morte non è
punto amara; altrimenti ella sarebbe riuscita tale anche a Socrate;
ma la opinione che si ha della morte, quello è l'amaro. Per tanto,
quando noi siamo attraversati o turbati o afflitti, non dobbiamo
però accagionare gli altri, ma sì veramente noi medesimi, cioè le
nostre opinioni. Egli è da uomo non addottrinato nella filosofia
l'addossare agli altri la colpa dei travagli suoi propri, da mezzo
addottrinato l'addossarla a se stesso, da addottrinato il non darla
né a se stesso né agli altri.
Guarda di non insuperbire di alcuna eccellenza o di alcun pregio
altrui. Se un cavallo montando in superbia dicesse; io son bello;
ciò sarebbe per avventura da comportare. Ma quando tu ti levi in
superbia dicendo: io ho un bel cavallo, avverti che tu insuperbisci
di un pregio che è del cavallo. Sai tu quello che è tuo? l'uso che
tu fai delle apparenze delle cose. Sicché quando nell'usare di
queste apparenze tu ti reggerai conforme a quello che la natura
richiede, allora tu piglierai compiacenza di te medesimo a buona
ragione: imperocché quello sarà un pregio tuo proprio.
[…]
A ciascuna cosa esteriore che ti occorra, rivolgiti sopra te stesso
e cerca quale delle facoltà che tu hai, si possa adoperare verso di
quella. Se tu avrai veduto un bel garzone o una bella donna,
troverai che da poter usare verso di queste cose, tu hai la facoltà
della continenza. Se ti occorrerà una fatica da sostenere, troverai
la facoltà della tolleranza. Se una villania, la pazienza. E così
accostumandoti, tu non ti lascerai trasportare dalle apparenze delle
cose.
[…]
Colui che ha in sua facoltà di dare o torre a una persona quel che
essa vuole o non vuole, è padrone di quella cotal persona. Però
chiunque ha volontà di essere libero, faccia di non appetire né
fuggire mai cosa alcuna di quelle che sono in potestà d'altri; o che
altrimenti gli bisognerà in ogni modo essere schiavo.
Tieni a mente che tu ti déi governare in tutta la vita come a un
banchetto. Portasi attorno una vivanda. Ti si ferma ella innanzi?
stendi la mano, e pigliane costumatamente. Passa oltre? non la
ritenere. Ancora non viene? non ti scagliar però in là collo
appetito: aspetta che ella venga. Il simile in ciò che appartiene ai
figliuoli, alla moglie, alla roba, alle dignità; e tu sarai degno di
sedere una volta a mensa cogli Dei. Che se tu non toccherai pur
quello che ti sarà posto innanzi, e non ne farai conto; allora tu
sarai degno non solo di sedere cogli Dei a mensa, ma eziandio di
regnare con esso loro. Per sì fatta guisa operando Diogene, Eraclito
e gli altri simili, venivano chiamati divini, e tali erano
veramente.
[…]
Sovvengati che tu non sei qui altro che attore di un dramma, il
quale sarà o breve o lungo, secondo la volontà del poeta. E se a
costui piace che tu rappresenti la persona di un mendico, studia di
rappresentarla acconciamente. Il simile se ti è assegnata la persona
di un zoppo, di un magistrato, di un uomo comune. Atteso che a te si
aspetta solamente di rappresentare bene quella qual si sia persona
che ti è destinata: lo eleggerla si appartiene a un altro.
Quando un corvo gracchiando porge cattivo augurio, non ti lasciar
muovere da sì fatta apparenza, ma subito distingui teco medesimo e
dì: questo animale non prenuncia niuna disavventura a me proprio, ma
forse a questo mio corpicino, o forse alla mia robicciuola, alla
riputazioncella, ai figliuoli, alla moglie. Quanto si è a me,
questo, se io voglio, è augurio buono, anzi ottimo. Imperocché io
ricaverò utile dal successo, qual ch'egli sia per essere, solo che
io voglia.
Tu puoi essere invitto, e ciò è se tu non ti metterai a nessun
arringo dal quale tu non abbia in tua facoltà di riuscire colla
vittoria.
Guarda che quando tu vedi uomini onorati o potenti o come che sia
riputati e osservati, I'apparenza non ti faccia forza in maniera che
tu li creda avventurosi e felici. Perciocché se la essenza del bene
sta nelle cose che sono in nostra facoltà, non deono aver luogo né
invidia né gelosia. E tu per la tua parte non vorrai essere né
capitano di esercito, né presidente del consiglio, né console, ma
libero: e a questo ci ha una sola via, che è non curarsi delle cose
che non sono in nostro potere.
Ricòrdati che colui che rampogna o percuote, non offende esso, ma l'
opinione che si ha che questi cotali offendano. Sicché quando tu ti
senti montar la collera contro uno, pensa che la tua propria
immaginazione è quella che ti sprona all'ira, e non altri. Per tanto
sforzati d'impedire che l'apparenza non ti trasporti in sul primo;
che se tu otterrai un poco di tempo e d'indugio, più agevolmente ti
verrà fatto di vincerti e di contenerti. Abbi tutto giorno dinanzi
agli occhi la morte, l'esilio e tutte quelle altre cose che appaiono
le più spaventevoli e da fuggire, e la morte massimamente; e mai non
ti cadrà nell'animo un pensier vile, né ti nasceranno desiderii
troppo accesi.
[…]
Se mai per volere acquistare la buona estimazione di alcuno, ti sarà
intervenuto di versarti, per dire così, fuori di te medesimo, sappi
che tu avrai rotto l'abito, e sarai uscito dei termini del tuo
instituto di vita. Però non cercare altro mai che di essere
filosofo, e sii contento e soddisfatto di questo in ogni cosa. Che
se oltre ad essere, tu volessi eziandio parere, fa' che tu paia
filosofo a te medesimo, e tanto ti basti. .
[…]
Stabilisci a te stesso, come a dire, un carattere e una figura la
quale tu abbi a mantenere da quindi innanzi sì praticando teco
stesso e sì comunicando colle persone.
Tacciasi il più del tempo, o dicasi quel tanto che la necessità
richiede, con brevità. Solo qualche rara volta, confortandovici il
tempo e il luogo, discendasi a favellare distesamente; ma non di
cotali materie trite e ordinarie, non di gladiatori o di corse di
cavalli, non di atleti, non di cibi né di bevande, né di sì fatti
altri particolari di che si ode a favellar tutto il dì, e sopra ogni
cosa, non di persona alcuna lodando o vituperando o facendo
comparazioni.
Fa', se tu puoi, di raddirizzare e ridurre al convenevole i
ragionamenti dei compagni. Se tu ti ritroverai solo tra persone
aliene dalla filosofia, tienti senza far motto.
Poche risa, e non grandi, e non di molte materie.
Non prendere mai giuramento, se tu potrai; se no, il più di rado che
tu possa.
Schifa di trovarti a conviti di persone comunali e rimote dalla
filosofia; e se ciò per alcuna occasione talvolta non si potrà
schivare, ricorditi di stare desto e attento più del consueto, che
tu non trascorressi nei modi e costumi della comune gente.
Imperocché sappi che di necessità, se il compagno sarà lordo, e che
tu gli praticherai dattorno, tu ti lorderai, ponghiamo che ora sii
netto.
[…]
Chi ti riportasse che il tale o il tal altro dicesse male di te, non
pigliare a scusarti e difenderti, ma rispondi che egli si vede bene
che questi non ha contezza degli altri difetti che io ho, perocché,
sapendogli, ei non avrebbe tocco solamente questi.
[…]
Non andare all' udienza di certi dicitori, anzi schifa di trovarviti
in ogni modo. Che se per ventura vi ti troverai, fa' di serbare una
contenenza grave e soda, e non però spiacevole nè superba.
Accadendoti di dover venire a qualche ragionamento o pratica con
chicchessia, e specialmente con alcuni di quelli che sono reputati
soprastare agli altri, proponti dinanzi agli occhi quello che
avrebbe fatto in tale occorrenza o Socrate o Zenone; e tu non sei
per mancare del modo di portarti convenientemente in ogni caso.
Andando a trovare alcuno dei potenti, mettiti nell'animo che tu non
sei per trovarlo a casa, ch'egli si sarà serrato dentro, che non ti
sarà voluto aprire l'uscio, che colui non ti darà mente. E se con
tutto questo, per non mancar dell'ufficio tuo, ti conviene andare,
pòrtati in pace ogni cosa che t'intervenga, e non dire mai fra te
stesso: egli non portava il pregio; che è un parlare da uomo
ordinario e dato tutto quanto alle cose esterne.
Guarda bene nei cerchi e nelle compagnie, che tu non istéssi a far
troppe parole intorno ad azioni fatte o a pericoli sostenuti da te
medesimo. Perciocché non siccome egli piace a ciascuno di raccontare
i propri pericoli, così riesce dilettevole alle persone l'udire le
avventure di chi favella.
Non istare anco a studiarti di muovere il riso; perché ciò facendo,
si porta pericolo di trascorrere ai modi e all' usanza dei più;
oltre che di leggieri avverrebbe che i circostanti rimetterebbero
più o manco della loro riverenza verso di te.
[…]
Se tu prenderai a fare una persona da più che non comportano le tue
forze, primieramente tu riuscirai con poco onore in questa figura,
poi tu avrai lasciato indietro quella che avresti potuto sostenere
compiutamente.
[…]
Qualora alcuno o con parole o con fatti ti offende, sovvengati che
egli opera ovvero parla in quel cotal modo, stimando che di così
fare ovvero parlare gli appartenga e stia bene. Ora è di necessità
che egli si governi, non conforme a quello che pare a te, ma secondo
che pare a lui. Sicché se a lui pare il falso, esso si ha il danno e
non altri, cioè a dire, il danno è di colui che s'inganna. Pigliamo
una verità di quelle che chiamano connesse: se uno la si crederà
falsa, non la verità, ma questo tale, ingannandosi, porterà il
danno. Per sì fatta guisa discorrendo, tu comporterai mansuetamente
colui che ti oltraggerà; perocché ogni volta tu hai da dire: così
gli è paruto che convenisse.
[…]
Queste cotali argomentazioni non reggono: io sono più ricco di te,
dunque io sono da più di te; io più letterato di te, dunque io sono
da più. Queste altre reggerebbero bene: io sono più ricco di te,
dunque la mia roba è da più che la tua; io più letterato di te,
dunque la mia dicitura val più che la tua. Ma tu non sei né roba né
dicitura.
[…]
Adunque, ponghiamo eziandio che tra uomini comunali il favellare
cadesse per avventura sopra qualche articolo di materia speculativa,
tu ti conterrai per lo più in silenzio. Perciocché altrimenti tu
correresti gran rischio di gittar fuori quello che tu non avessi
ancor smaltito. E quando alcuno ti dirà che tu non sai nulla, e tu
per udire questo non ti sentirai pungere, allora sappi che tu
cominci a fare frutto. Vedi tu che le pecore non portano al pastore
erba per dare a vedere la quantità ch'elle hanno mangiato, ma
smaltita la pastura dentro, danno di fuori la lana e il latte? e tu
similmente non isciorinare in sugli occhi dei non filosofi le
dottrine speculative, ma da quelle ben digerite dentro, forma
estrinsecamente e dimostra a coloro le operazioni.
[…]
Segni che uno fa pro nella filosofia sono non parlare male di
alcuno; non lodare chicchessia; di niuno lamentarsi; niuno
incolpare; non favellare cosa alcuna di sé come di persona di
qualche peso o che s'intenda di che che sia; provando impedimento o
disturbo in qualche sua intenzione, imputare la colpa a se stesso;
lodato, ridere interiormente del lodare; biasimato, non si
difendere; andare attorno a guisa che fanno i convalescenti,
guardando di non muovere qualche parte racconcia di fresco, prima
ch'ella sia bene assodata; aver posto giù ogni appetito; ridotta
l'avversione a quel tanto che nelle cose che dipendono dal nostro
arbitrio è contrario a natura; non dare luogo a prime inclinazioni e
primi moti dell'animo se non riposati e placidi; se sarà tenuto
sciocco o ignorante, non se ne curare; in breve, stare all'erta con
se medesimo non altrimenti che con uno inimico o uno insidiatore.
[…]
Ciascun proponimento che tu farai vuolsi osservare e mantenere come
fosse una legge e un punto di religione. Che poi si dica di te il
mondo, non vi por mente, poiché questa parte non è in tuo potere.
[…]
Ancora: chiunque sa bene accomodarsi alla necessità, tiene appresso
noi grado di saggio, ed esso ha il conoscimento delle cose divine.
Ancora in terzo luogo: o Critone, se così piace agli Dei, così sia.
Anito e Melito mi possono bene uccidere, ma non già offendere.
Epitteto |