Enciclica di Alfonso per
maggiormente eccitare ne’ suoi lo spirito di Gesù Cristo, ed impegno
per l’adempimento de’ propri doveri
Prego tutti voi Fratelli miei il Gesù Cristo, prima di sentire
questa mia, di dire il Veni Creator Spiritus, e domandare
luce a Dio, per ben intendere, e mettere in esecuzione quel, che da
parte di Gesù Cristo io scrivo a tutti, ed a ciascuno in
particolare.
Padri, e Fratelli miei, non sono ancora ventidue anni, che è
incominciata la Congregazione, e da cinque anni è stata approvata
dalla S. Chiesa; onde dovrebbe a quest’ora, non solo mantenersi nel
primo fervore, ma di più esser accresciuta. E' vero, che molti si
portano bene, ma in altri invece di avanzarsi manca lo spirito.
Questi non so a che anderanno a parare, perchè Dio ci ha chiamati in
questa Congregazione specialmente in questi principi a farci santi,
ed a salvarci da santi. Chi vorrà nella Congregazione salvarsi, ma
non da santo, io non so se si salverà. Se quella mancanza di spirito
si diffonde, povera Congregazione! Che ne sarà di te fino a
cinquant'anni? Bisognerebbe dire, povero Gesù Cristo. Se non è amato
da un Fratello della Congregazione, che ha ricevute tante grazie, e
speciali, da chi sarà aiutato? Dio mio, ed a che servono tante
orazioni, e tante Communioni? E che ci siamo venuti a fare nella
Congregazione, e che ci stiamo a fare, se non ci facciamo santi?
Stiamo a gabbare il Mondo, che ci stima tutti per santi, ed a far
ridere nel giorno del giudizio quelli, che allora sapranno le nostre
imperfezioni. Ora vi sono tanti buoni Novizi; ma questi, e quelli,
che verranno appresso, saranno peggiori di noi col nostro esempio, e
fra non molto tempo la Congregazione si rilascerà in tutto, perchè
dalle imperfezioni si passerà agli scandali; ma se ciò ha da
succedere è meglio, Fratelli miei, che preghiamo il Signore, che da
ora la faccia dismettere.
Or io son già vecchio e di mala salute, e già mi si va accostando il
giorno de' conti. Io voglio servirvi quanto posso, e Dio sa quanto
amo più ciascuno di voi, che i miei Fratelli, e Madre; ma non vuole
Dio, ch'io metta a pericolo la mia salute eterna per amore (ma
amore disordinato) verso alcuno di voi. Tutti siamo miserabili, e
tutti commettiamo difetti, ma io non mi accoro de’ difetti, che non
si fermano; ma di quelli, che fanno nido, e di certe debolezze, che
fanno danno a tutta la Communità. Se alcuno volesse queste sposare
ad occhi aperti, e difenderle, o almeno scusarle come compatibili,
queste mi dichiaro, che non posso, né devo sopportare. Tali
debolezze farebbero, per esempio, o contro l'Ubbidienza, o contro la
Povertà, o contro l'Umiltà, o Carità del Prossimo. Io spero a Dio di
conservare fino alla morte questo sentimento, e di osservarlo
puntualmente come ho promesso a Dio, di non farmi vincere dal
rispetto umano di vedere mancare i Fratelli in cose notabili, e di
pregiudizio agli altri, senza corrigerli. Voi già sapete, che forse
il mio maggior debole è il troppo condescendere, ma spero a Dio, che
mi dia fortezza di non sopportare gl'imperfetti, che non si vogliono
emendare, e che vogliano difendere le loro imperfezioni. Prego voi,
che siete giovani, e che restate a governare la Congregazione, di
non rapportar mai un'imperfetto di simil fatta, che dopo il difetto
non se ne umilia, e lo difende. Io mi protesto, che nel giorno del
Giudizio accuserò nel tribunale di Gesù Cristo quel Superiore, che,
per non disgustare alcuno, sopporterà i difetti pregiudiziali, e
farà cagione del rilasciamento della Congregazione. Del resto in
quanto al passato, se mai alcuno ha fatto qualche difetto, io non
intendo qui rimproverarlo; parlo solamente per l’avvenire.
Per venire a qualche cosa più speciale, prego ciascuno di attendere
alle cose, che qui soggiungo. Esorto dunque ciascuno a far conto
della Vocazione, ch'è il maggior beneficio, che Iddio ha potuto fargli dopo il beneficio della Creazione, e Redenzione. Ne ringrazj ogni giorno il Signore, e tremi di perderla. Non si faccia
ingannare dal nemico, se forse gli dirà, che il bene può farlo anche
nel suo Paese, fuori della Congregazione, e che fuori troverà più
pace. Che bene? Nemo acceptus in Patria sua. Ogn’uno lo sà, e si
vede coll’esperienza. Salverà più anime un Sacerdote della
Congregazione, in un anno, che in tutta la sua vita fuori della
Congregazione. E parlando di profitto proprio, guadagnerà più un
Fratello in un anno, con far l'ubbidienza, che in dieci anni,
vivendo fuori a capriccio suo. E poi noi abbiamo da fare quel bene,
che da noi vuol Dio, e non quello, che vogliamo noi; e Dio vuole che
chi è chiamato nella Congregazione, quel bene, e quelle opere, che
gl'impongono le Regole, ed i Superiori. Pace, che pace! Quis
restitit ei, & pacem habuit. Vediamolo fratelli miei in quelli, che
hanno abbandonata la Congregazione. Che pace vuol dare Dio
agl'infedeli, che per capriccio proprio, e per non mortificarsi
perdono la vocazione, e si mettono dietro le spalle la volontà di
Dio? E specialmente in morte che pace ritroveranno, pensando, che
muojono fuori della Congregazione? Non mi stendo in ciò, perchè ogn’uno
ora già ben l'intende: ma il male è, che quando viene la tentazione,
allora più non ci vede, e gli pare non esser male il perdere la
vocazione. Questo avverto non pensi alcuno forse col dire, che se ne
vuole andare, di metter timore. Per grazia di Dio la Congregazione
ora è fornita di molti, e buoni soggetti, e tuttavia ogni giorno
vengono giovani di spirito, e di talento, come vedete, giacché è
sparso per tutto il Regno il nome della Congregazione, ed anche
fuori, e credono che nella Congregazione vi è un grande spirito, e
perfezione; (volesse Dio, e fosse vera la metà); e così ci
resteranno i buoni, che ancora faranno le Missioni, e gli Esercizj.
Ed ancorché avesse da farsi qualche Missione meno, sempre sarà
meglio conservare lo spirito di osservanza con pochi, che vedere la
Congregazione rilasciata. Daranno più gusto a Dio quelli pochi, che
cammineranno dritto, che mille altri che viveranno imperfetti. Onde
concludiamo questo punto. Povero chi perderà la Vocazione. Ed
incidentemente a questo proposito, io rinovo a ciascuno il precetto
formale di ubbidienza, dato da me altre volte di non partirsi dalla
Congregazione, senza prima aver ottenuta da me l'espressa licenza,
coll’assoluzione, o sia rilassazione de’ voti e giuramento di
perseveranza, se pure non l'avesse ottenuto dal Sommo Pontefice.
Prego ciascuno ad ubbidire, così egli, e non resistere alle
ubbidienze de' Superiori Locali. Se alcuno vuole esponere qualche
difficoltà, ciò gli è permesso; ma prego costui, che prima di
replicare, si rassegni a far ubbidienza, se mai la sua replica non
gli è fatta buona; onde vada rassegnato, e poi esponga quello che
l'occorra; altrimenti se non fà così, resterà inquieto, se non gli è
ammessa la sua difficoltà; e restando inquieto il Demonio ci farà
molto guadagno. Il Padre della Colombier fece voto d'andar sempre
contro la propria volontà: se uno non ha lo spirito di far questo
voto, il che non pretendo, almeno deve stare sempre attento a
contradire la propria volontà, che è la ruina delle Anime. S.
Caterina di Bologna dice, che si debbono eseguire le ubbidienze
difficili (perchè nelle facili non ci è gran merito), senza
mormorazione né esterna, lamentandosi per esempio, circa il vitto, o
le vesti, o il procedere de' superiori (il che è un gran difetto;)
né interna perchè la mormorazione interna anche inquieta lo spirito.
Specialmente prego ciascuno a non pretendere di mutar casa senza
evidente necessità; e quando questa necessità li paresse tale, pure
lo prego, prima di far la richiesta, di rassegnarsi totalmente al
giudizio del Superiore, se a lui paresse altrimente. Ed io mi
protesto di non voler condiscendere in ciò a niuno senza evidente
ragione, perchè altrimenti una tale condiscendenza potrebbe essere
la fonte di molte inquietitudini a' Soggetti.
Prego ciascuno a non lamentarsi cogli altri di quel, che fanno i
Superiori Locali, perchè ciò può essere di gran tentazione così in
persona propria, come per gli altri.
Prego ciascuno, cercare sempre a Gesù Cristo il suo santo amore,
perchè altrimenti poco serviranno tutti i propositi. E per ottenere
questo santo amore procuriamo, d'innamorarci assai della Passione di
Gesù-Cristo, con farci un poco di meditazione ogni giorno, e
praticare la Via Crucis, quando si può. Si dà un gran gusto a
Gesù-Cristo certamente con pensare a’ suoi dolori, e disprezzi
patiti per noi. E chi pensa spesso alla sua Passione, mi pare
impossibile, che non s'innamora di Gesù-Cristo. E prego i Superiori
presenti, e futuri ad insinuare spesso ne' Capitoli l'amore a
Gesù-Cristo e alla sua Passione . Noi nelle Missioni non insinuiamo
altro maggiormente, che questo amore a Gesù Cristo appassionato; che
vergogna sarà comparire nel giorno del Giudizio uno di noi, che
averà amato Gesù-Cristo meno di una feminella!
Con ciò prego ciascuno ad amare la stanza, e non dissiparsi nella
giornata andando di qua e di là. Siamo avari del tempo per
impiegarlo nell’Orazione, visite al SS. Sacramento, che a posta stà
con noi, ed anche allo studio, perchè questo a noi ancora è
assolutamente necessario. Raccomando a’ Confessori lo studio della
Morale, e di non seguitare alla cieca alcune opinioni de' Dottori,
senza prima considerare le ragioni intrinseche, e specialmente
quelle, che nel mio secondo libro non sono state da me ammesse più
probabili. E ciò, dico, e lo dicono anche i Probabilisti, che ogni
Confessore è obbligato a farlo dovendosi prima considerare in ogni
questione, se vi è ragione intrinseca tale che convinca, perché
allora si rende improbabile l’opinione contraria. Solamente quando
non restiamo convinti dalla ragione, allora possiamo servirci della
probabilità estrinseca. Attenti a questo, perché nella Congregazione
temo che alcuni in ciò errano notabilmente. E si avverta, che in
questo secondo libro io non ammetto ordinariamente per probabili, se
non quelle opinioni solamente, che le chiamo tali. Io non pretendo
che le mie opinioni s'abbiano da osservare necessariamente, ma prego
prima di ributtarle, a legere il mio libro e considerare quello, che
ho scritto con tanta fatica, discorso, e studio. E questa fatica,
fratelli miei, io non l’ho fatta per gli altri, né per acquistare
lode, ne avrei fatto volentieri di meno, se altro non avessi avuto a
ricavare, che un poco di fumo: Dio sa il tedio, e pena, che ci ho
sopportato; l’ho fatta solamente per voi, fratelli miei, acciocché
si seguiti una dottrina soda; almeno acciocché si proceda con
riflessione. Io confesso, che tante opinioni prima io le tenea sode,
ma poi ho veduto collo studio presente, che erano improbabili. Onde
prego tutti i giovani, e Confessori a leggere il mio libro, mentre a
questo fine l’ho fatto, e poi seguitino quello, che loro pare
davanti a Dio.
Tra le opinioni improbabili io numero specialmente quella di potersi
assolvere l'ordinando abituato in cose di peccato grave, ancorché
porti segni bastanti per ricevere il Sacramento della Penitenza;
mentre a costui non è solo conveniente, come falsamente suppongono
alcuni, ma è necessaria la bontà positiva, non già per ragione del
nuovo Sacramento, che prende perché a questo basterebbe lo stare
semplicemente in grazia; ma per lo grado d'eccellenza a cui ascende
che richiede un'eccellente bontà di necessità assoluta, mentre
dicono commumemente i Canoni, ed i Dottori con S. Tomaso, che bontà
praexigitur, requiritur, necessaria est, parole, che tutte
esprimono vera necessità, non convenienza. E la ragione si è, perchè
un tale Ordinando in Sacris, così per l' eminenza dello stato in cui
vien posto, come per li ministerii sacrosanti, che deve esercitare,
ha d'avere questa bontà positiva, che importa non solo essere
esente da colpa grave, ma che possieda ancora un grado di virtù
acquistata, per gli atti buoni innanzi praticati. Anch'io prima.
difesi l’opinione contraria, ma poi ho veduto essere improbabilissima, e per ciò mi sono rivocato.
Raccomando per ultimo a' Superiori presenti, e futuri l'osservanza
delle Regole. In mano loro, sta questa osservanza. Il Rettore
Maggiore sta lontano, se il Rettore Locale non vi attende, il
Rettore Maggiore non vi puole rimediare. E perciò è necessario, che
i Superlori non solamente predichino l'osservanza, ma siino i primi
a pratticarla. Più move quel, che si vede, che quel, che si sente.
Raccomando insieme a' Superiori, la carità co' soggetti, acciò gli
confortino nelle angustie, e cerchino quanto li può di sollevarli
ne' loro bisogni, dimandando specialmente nel conto di Coscienza, se
loro necessiti qualche cosa. Raccomando sommamente il conto di
coscienza ogni mese, che si faccia il primo Lunedì di mese, e quando
non si può fare, o compire nel primo, che si faccia nel secondo
Lunedì. Raccomando specialmente l'attenzione, e carità con
gl'infermi con visitarli, e provederli di rimedii necessarj, quanto
si può, con dimandare loro se bisogna qualche cosa, e quando la
povertà non lo comporti, almeno consolarli quanto è possibile.
Raccomando ancora a' Superiori di fare le correzioni in segreto,
perché in pubblico poco giovano, se pure il difetto non sia publico:
mentre allora servono per gli altri; ma per lo soggetto, anche
allora, è meglio corregerlo prima in segreto e poi in publico.
Ciò in quanto a Superiori. A Soggetti poi in particolare, raccomando
a non dire più ad alcuno, che ora nella Congregazione non si va con
tanta strettezza, essendo mancata la prima osservanza; mentre ciò
non è vero, essendovi li buoni, che mantengono la prima osservanza;
e benché i difetti siano cresciuti, perchè è cresciuto il numero de'
soggetti, nulladimeno ogn'uno deve cercare d’emendarsi, e di vivere
con osservanza, intendendo, che gl’inosservanti che non vogliono
emendarsi, dalla Congregazione non possono sopportarsi. Onde
ciascuno, quando commette. qualche difetto, subito procuri di
umiliarsi internamente se. il difetto è interno, ed esternamente con
accusarsene, se il difetto è stato esterno: e cadendo in qualche
difetto subito ne proponga l'emenda. Quando alcuno ha qualche
rancore contro di qualche fratello, o contro del Superiore procuri
di non operare a sangue caldo, ma prima di serenarsi, raccomandarsi
a Dio, e poi se lo stima necessario, operi, o pure vada a parlare, o
ne scriva al Superiore per amore di Gesù Cristo, di stare attento a
questo. Oh quanti difetti s'eviterebbero, se ciò si osservasse,
perchè a sangue caldo le cose
pajono altrimenti di quelle, che sono. E perciò prego anche i
Superiori a non fare le correzioni, quando l’animo sta esasperato,
ma aspettare che l'animo si sereni, altrimenti sempre si eccederà, e le correzioni poco gioveranno. Raccomando il distacco da’ Parenti,
quanto posso, essendo certo (come dice Gesù Cristo) che questi sono
i maggiori nemici della nostra perfezione. Si guardi ognuno di
neppure nominare nella Congregazione, stima propria; la maggiore
stima che deve avere un Fratello della Congregazione, è l'amare l'ubbidienza , e l'essere disprezzato e tenuto in poco conto. Quest’è
quello, che hanno desiderato i Santi, essere disprezzati, come è
stato disprezzato Gesù Cristo. E chi non si vuol far Santo, non può
durare nella Congregazione. Gesù Cristo medesimo, che ama assai
questa Congregazione, ne lo caccerà. Non vuole il Signore, che le
prime pietre di questo suo edifizio siano così deboli, che non solo
non vagliano a sostenere, e a dare esempio agli altri, che verranno
appresso, ma che diano poca edificazione a coloro, che vi sono di
presente. Ogn'uno intenda bene. Raccomando ancora l'amore alla
Povertà, e ciascuno intenda, che specialmente i difetti contro
queste due virtù, cioè, contro la povertà, e contro l'ubbidienza
dalla Congregazione non sì sopportano, né possono sopportarsi;
perché caduta l'osservanza circa quelle due virtù, è ruinato in
tutto, e finito lo spirito della Communità.
Ciocché ho scritto così alla rinfusa, di nuovo mi professo di non
scriverlo per alcuno in particolare, ma in generale a tutti, e più
per lo tempo futuro, che per lo passato. Del resto prego tutti a non
pensare, dall'aver intesa questa mia lettera ch'io forsi conservi
qualche rancore verso di alcuno, ch'abbia commesso qualche difetto
per lo passato. Mi dichiaro, che de' difetti commessi, conforme Gesù
Cristo se n'è scordato, essendosene umiliato come spero chi l’ha
commessi, così me ne scordo ancor io. Ed intenda ciascuno, che
quando alcuno per disgrazia commetterà qualche difetto, e se ne
umilierà di cuore, s’assicuri, ch'io di cuore lo perdonerò, anzi con
umiliarsi mi si renderà più caro di prima. Dico ciò, affinché
ciascuno non si disanimi, se mai per caso cade in qualche mancanza.
Ma ogn'uno stia attento ad evitare i difetti, ancorché minimi, ma
fatti ad occhi aperti, perché il Demonio da questi suol condurre a
difetti più gravi, e poi tenta a perdere la vocazione. E con quest’arte
il Demonio ne può cacciare più d’uno dalla Congregazione.
[...]
Alfonso Maria de Liguori
8 agosto 1754
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