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IL DISSIMULATORE
di Adam Smith |
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Prefazione |
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Adam Smith
(1723-1790) |
Successore di Francis
Hutcheson alla cattedra di filosofia morale di Glasgow, Adam Smith
― ultimo esponente dell'Illuminismo scozzese
con Thomas Reid (1710-1796) ― occupa un posto eminente
nella storia dell'economia politica con la sua
Ricerca della natura e le cause della ricchezza delle nazioni
(1776). Per Smith la
Ricchezza delle nazioni è fondata sul presupposto di un
ordine naturale, di origine provvidenziale, che garantisce in
ogni caso la coincidenza dell'interesse del singolo con quello
della collettività. Tutte le sue analisi tendono a dimostrare che
l'individuo deve essere lasciato libero di perseguire il proprio
interesse, perché lo sforzo naturale nel migliorare la sua
condizione crea una società ricca e prospera.
L'immagine di Adam Smith ― presunto
padre dell'economia di mercato e di un
liberalismo contrario ad ogni interferenza politica nella attività
dei cittadini ― si arricchisce però in modo sostanziale ai
nostri occhi con la
Teoria dei sentimenti morali. La sua prima stesura risalente al
1759 - che subisce tante e continue modifiche o ampliamenti fino a
pochi mesi dalla morte - sfata l'immagine affibbiatagli di essere
sì padre dell'economia borghese e del lassez-faire, ma
anche affossatore dell'etica. La Teoria mostra quindi uno Smith
impegnato per tutta la vita nello studio dei principi generali
della condotta umana e che sembra continuare la ricerca di Hume
nel delineare le virtù pubbliche proprie di una società
commerciale.
Il Dissimulatore (titolo del tutto aggiunto
arbitrariamente) è tratto dalla III Sezione della Teoria,
in cui Smith ci parla del dominio di sé. Quando si vive in periodi
di disordine e di incertezza ― dice Smith ―
bisogna stare molto attenti: «l'esigenza
di difesa personale obbliga la maggior parte degli uomini a
ricorrere alla destrezza, all'adulazione, ed al falso adattamento
a quella che in questo momento è la parte vincente».
Saper dissimulare ― diceva il
Cardinale Richelieu ― è il sapere dei
Re; il caustico Voltaire, un secolo dopo, completò questo concetto
aggiungendo che la dissimulazione è sì una virtù dei Re, ma anche
delle cameriere!
Luca Liguori (11
gennaio 2004)
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Il dissimulatore
Il dominio della paura, il dominio dell'ira sono sempre poteri
grandi e nobili. Quando sono diretti da giustizia e benevolenza, non
solo sono grandi virtù, ma accrescono lo splendore di quelle.
Tuttavia, a volte sono diretti da motivazioni molto diverse, e in
questo caso, sebbene restino grandi e rispettabili, possono
risultare estremamente pericolosi. Il valore più intrepido può
essere impiegato per la causa più ingiusta. Un'apparente
tranquillità e serenità di fronte a grandi provocazioni può a volte
nascondere la più crudele e determinata decisione di vendicarsi. La
forza mentale richiesta da una simile dissimulazione, sebbene sia
sempre necessariamente corrotta dalla bassezza della menzogna, è
stata tuttavia ammirata spesso da molte persone dotate di non
disprezzabile giudizio. La capacità di dissimulare di Caterina de'
Medici viene spesso celebrata dall'acuto storico Davila,
quella di Lord Digby, poi duca di Bristol, dal serio e coscienzioso
Lord Clarendon, quella del primo Ashley,
conte di Shaftesbury, dal saggio Locke.
Persino Cicerone, anche se in realtà non ritiene che questo
carattere falso sia dotato di gran dignità, tuttavia lo considera
capace di una certa flessibilità di maniere, che può essere,
nonostante tutto, piacevole e rispettabile. Egli ne trova esempi
nell'Ulisse di Omero, nell'ateniese Temistocle, nello spartano
Lisandro, e nel romano Marco Crasso.
Questo carattere capace di cupa e profonda dissimulazione è diffuso
più comunemente in periodi di disordine, in mezzo alla violenza
delle fazioni e nella guerra civile, quando la legge diventa in gran
misura impotente, quando la più perfetta innocenza da sola non
riesce ad assicurare l'incolumità, e l'esigenza di difesa personale
obbliga la maggior parte degli uomini a ricorrere alla destrezza,
all'adulazione, al falso adattamento a quella che in quel momento è
la parte vincente. Anche questo carattere falso è spesso
accompagnato dal coraggio più freddo e determinato, poiché
normalmente chi viene scoperto rischia la morte. Può servire
indifferentemente per esasperare o per addolcire la furiosa
animosità delle fazioni avverse che lo impone, e, sebbene a volte
possa risultare utile, almeno altrettante volte rischia di essere
molto pericoloso.
Adam Smith |
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Enrico Caterino Davila, Historia
delle guerre civili di Francia (1630), Venetia 1630.
Edward Hyde (Lord Clarendon), History of the Rebellion and
Civil Wars in England, Oxford 1721.
John Locke, Memories relating to the life of Antony, first
Earl of Shaftesbury, in Works, London 1777.
Smith ha presente Cicerone, De officiis, ma citando a
memoria confonde probabilmente Ulisse con Solone,
Fonti:
Teoria dei sentimenti morali di
Adam Smith, a cura di
Eugenio Lecaldano - Biblioteca Universale Rizzoli, 1995.
Filosofi e filosofie nella storia di Nicola Abbagnano e
Giovanni Fornero - Edtore Paravia, 1992. |
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