|
Baruch Spinoza
(1632-1677) |
Nato da una famiglia
ebraica costretta ad abbandonare il Portogallo per l'intolleranza
religiosa di quel paese, Baruch (Benedetto) de Spinoza fu educato
nella comunità israelitica di Amsterdam. Nel 1656 veniva espulso e
scomunicato da questa comunità per «eresie
pratiche ed insegnate». Abbandonò così
Amsterdam stabilendosi prima in un villaggio presso Leida e poi
all'Aia dove passò il resto della sua vita.
La tesi centrale del pensiero di Spinoza è l'identificazione
panteistica di Dio con la Natura e in essa convergono i temi e i
motivi appartenenti alle tradizioni culturali più disparate (la
filosofia ellenistica, la teologia giudaico-cristiana, la
filosofia neoplatonico-naturalistica del Rinascimento, il
razionalismo cartesiano. il pensiero arabo e di Hobbes.
Giovanissimo, all'età di 29 anni e dopo la drammatica esperienza
della espulsione dalla Comunità, Spinoza è già conosciuto
tanto da formarsi una cerchia di amici con i quali intrattenere un nutrito
scambio epistolare, fonte preziosa sull'andamento della sua
riflessione.
Iniziò la scrittura dell'Ethica nel 1661 a Rijnsburg, dove
vive della vendita di lenti che egli stesso mola con grande
perizia, per poi pubblicarla nel 1664 col titolo di
Methodus inveniendi argumenta
redatta
ordine et tenore geometrico, adottando sistematicamente per la
dimostrazione il metodo geometrico, appunto. Questa scelta ha il
significato preciso di rendere immediatamente evidente il
carattere di verità, dimostrabile ed eterna, che aveva la sua
filosofia.
Le tre proposizioni proposte, la LIII, LVI e la LVII, sono tratte
dalla quarta parte Della schiavitù Umana, ossia delle Forze
degli Affetti. «Chiamo Schiavitù ― dice Spinoza nella
prefazione ― l'impotenza umana nel moderare e tenere a freno gli
affetti: l'uomo che è soggetto agli affetti, infatti, non è
padrone di sé, ma in balia della fortuna nel cui potere è a tal
punto che spesso è costretto, sebbene veda il meglio, a seguire
tuttavia il peggio».
Luca Liguori (19
gennaio 2004)
|
Proposizione LIII
L'Umiltà non è una virtù ossia non nasce da ragione.
Dimostrazione L'Umiltà è Tristezza, che nasce dal fatto che
l'uomo contempla la sua impotenza. In quanto poi l'uomo conosce se
stesso secondo la vera ragione, in tanto si suppone che comprenda la
sua propria essenza, cioè la sua potenza.
Per cui se l'uomo, mentre contempla se stesso, percepisce una certa
sua impotenza, questo non deriva dal fatto che comprende se stesso,
ma dal fatto che la sua potenza di agire è ostacolata. Poiché se
supponiamo, che l'uomo concepisce la sua impotenza per il fatto che
comprende qualcosa più potente di se stesso, con la cui conoscenza
determina la sua potenza di agire, allora non concepiamo nient'altro
se non che l'uomo comprende distintamente se stesso, ossia che la
sua potenza di agire è agevolata. Per cui l'Umiltà, ossia la
Tristezza, che nasce da ciò che l'uomo contempla la sua impotenza,
non nasce da vera contemplazione, ossia da ragione, né è virtù,
bensì passione. C.V.D.
Proposizione LVI Massima Superbia o Sottovalutazione di sé
indica massima impotenza dell'animo.
Dimostrazione Il primo fondamento della virtù è conservare il
proprio essere, e questo secondo la guida della ragione. Chi ignora
se stesso, dunque, ignora il fondamento di tutte le virtù e
conseguentemente tutte le virtù. Inoltre, agire secondo virtù non è
altro che agire secondo la guida della ragione e chi agisce secondo
la guida della ragione deve necessariamente sapere che agisce
secondo la guida della ragione; chi dunque ignora se stesso e,
conseguentemente (come abbiamo or ora dimostrato), tutte le virtù,
non agisce affatto secondo virtù, cioè è massimamente impotente
nell'animo; e perciò massima superbia, o massima sottovalutazione di
sé indica massima impotenza dell' animo.
Corollario Da ciò segue nel modo più chiaro che i superbi, e
coloro che si sottovalutano sono massimamente soggetti agli affetti.
Scolio La Sottovalutazione di sé, tuttavia, può essere
corretta più facilmente della superbia, poiché questa è un affetto
della Gioia, quella invece della Tristezza; e perciò, questa è più
forte di quella.
Proposizione LVII Il superbo ama la presenza dei parassiti
o adulatori, odia invece quella degli uomini generosi.
Dimostrazione La Superbia è Gioia nata dal fatto che l'uomo
sente di sé più del giusto, opinione che il superbo, per quanto può,
si sforza di alimentare; e perciò i superbi ameranno la presenza dei
parassiti, o degli adulatori (ho omesso la definizione di questi,
perché essi sono troppo noti), e fuggiranno quella degli uomini
generosi, i quali sentono di essi quanto è giusto. C.V.D.
Scolio Sarebbe troppo lungo elencare qui tutti i mali della
Superbia, poiché i superbi sono soggetti a tutti gli affetti; ma a
nessuno meno che a quelli dell'Amore e della Misericordia. Ma qui
non bisogna passare sotto silenzio il fatto che si chiama superbo
anche colui il quale sente degli altri meno del giusto, si che in
questo senso la Superbia va definita quale Gioia sorta dalla falsa
opinione per cui l'uomo crede di essere al di sopra degli altri. E
la Sottovalutazione di sé contraria a questo tipo di Superbia
dovrebbe essere definita quale Tristezza nata dalla falsa opinione
per cui l'uomo crede di essere al di sotto degli altri. Ciò posto,
concepiamo facilmente che il superbo è necessariamente invidioso e
ha soprattutto in odio coloro che sono sommamente lodati per le loro
virtù; che il suo odio contro di essi non è vinto dall' Amore o dal
beneficio, e che trae diletto soltanto dalla presenza di coloro che
si mostrano compiacenti nei confronti del suo animo impotente e lo
rendono da stolto pazzo.
Sebbene la Sottovalutazione di sé sia contraria alla Superbia,
tuttavia chi si sottovaluta è vicino al superbo. Infatti, poiché la
sua Tristezza nasce dal fatto che giudica la propria impotenza sulla
base dell'altrui potenza o virtù, la sua Tristezza sarà alleviata,
cioè egli si allieterà, se la sua immaginazione sarà presa dalla
contemplaZione degli altrui vizi, onde ha avuto origine quel
proverbio: consolazione ai miseri è avere avuto compagni al male,
e al contrario, tanto più si rattristerà quanto più crederà di
essere al di sotto degli altri; onde accade che nessuno sia incline
all'Invidia quanto coloro che si sottovalutano e che essi si
sforzano soprattutto di osservare le azioni degli uomini più per
biasimarle che per correggerle, e che, infine, lodano soltanto la
Sottovalutazione di sé e di essa si gloriano; ma in modo tale,
tuttavia, da apparire umili. E queste cose seguono da questo affetto
tanto necessariamente quanto dalla natura di un triangolo segue che
i suoi tre angoli siano uguali a due retti; e dianzi ho detto che
chiamo cattivi questi e simili affetti, in quanto pongo mente
soltanto all'umana utilità. Ma le leggi della natura riflettono il
comune ordine della natura di cui l'uomo è parte; il che ho voluto
segnalare qui di passaggio affinché qualcuno non stimasse che qui ho
voluto raccontare i vizi e le vicende assurde degli uomini e non
invece dimostrare la natura e le proprietà delle cose. Infatti, come
ho detto nella Prefazione della Terza Parte, considero gli affetti
umani e le loro proprietà alla stregua delle altre cose naturali. E
in verità gli affetti umani indicano la potenza e l'arte se non
degli uomini, almeno della natura non meno di molte altre cose che
ammiriamo e della contemplazione ci dilettiamo.
Baruch Spinoza |